La Nuova Sardegna

La chiesa che nessuno voleva: a Sassari cold case storico-architettonico

Roberto Sanna
La chiesa che nessuno voleva: a Sassari cold case storico-architettonico

Un edificio religioso da buttare giù in fretta e furia per far posto a un palazzo, le tracce riaffiorano oltre due secoli dopo

10 novembre 2018
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Una chiesa da buttare giù in fretta e furia per far posto a un palazzo. Una demolizione talmente frettolosa da non essere completata e aver lasciato tracce che, ritrovate casualmente quasi due secoli dopo, fanno riaprire improvvisamente questo “cold case” storico-architettonico. Il libro “Buttate giù quella chiesa” (Edes, 115 pagine, 12 euro) di Sandro Roggio, architetto specializzato in progettazione urbanistica e appassionato ambientalista, e Cosimo Filigheddu, giornalista, ex capocronista e responsabile delle pagine culturali della Nuova Sardegna, riporta alla luce una vicenda che ha cambiato il volto della città. Si tratta della demolizione della chiesa di Santa Caterina, edificio medievale che si trovava in uno slargo che è diventato l’attuale piazza Azuni, attuata a metà dell’Ottocento.

Anni bui

Lo sfondo di questa storia è l’epidemia di colera che decimò la città. L’anno del colera è il 1855 e Santa Caterina giace sventrata, le sue rovine fanno da cupo palcoscenico alle processioni dei carri carichi di cadaveri e verrà demolita definitivamente attorno al 1870. La sua sorte era stata decisa qualche anno prima da un intreccio di fattori che vedevano insieme la spinta risorgimentale di quegli anni e una nuova visione urbanistica che si inseriva sulla scia dei grandi sventramenti attuati nei quartieri medievali delle grandi capitali europee come Londra, Vienna e Parigi. Sotto questo punto di vista la chiesa di Santa Caterina e la piazza circostante, rovinate dall’incuria, erano un bersaglio facile. Le conclusioni del libro-inchiesta di Roggio e Filigheddu sono abbastanza decise: a metà dell’Ottocento, scrivono, «era ampiamente acquisita da tutti l’idea che la “rovinosa” chiesa di Santa Caterina non fosse più in grado di svolgere la sua funzione». La classe dirigente della città, di fatto, decretò la condanna e l’aria che tirava non lasciava scampo all’edificio: la popolazione si stava disaffezionando, anche intellettuali come Pasquale Tola erano indifferenti alla vicenda e sostanzialmente la gioia per i colpi di piccone aveva preso il sopravvento su eventuali dispiaceri per le demolizioni.

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La decisione

Anche la Curia alla fine acconsentì alla demolizione ma aveva una remora: la cancellazione di un edificio sacro, seppur trascurato, poteva essere giustificata da una nuova chiesa da costruire sullo stesso sito. Il Comune invece aveva altre idee: trasferire la sede religiosa a poche centinaia di metri, nell’attuale sito a un passo da Palazzo Ducale. E per arrivare a questo bisognava convincere soprattutto i sassaresi. Peraltro l’edificio, di proprietà dei gesuiti, era rimasto vuoto dopo le vicende politiche tra Torino e Roma che segnavano i difficili rapporti tra Stato e Chiesa. Alla Curia, a quel punto, faceva comodo appropriarsi di quello spazio prima di un possibile ritorno dei gesuiti. In pochi, però, sapevano che cosa sarebbe sorto al posto dell’edificio ormai condannato.

La finestra sul passato

Com’è andata a finire lo si può vedere oggi passando nell’attuale piazza Azuni. Ma ai due autori restava un sospetto: la chiesa “doveva” essere demolita, non era pericolante. Al primo piano del palazzo all’angolo tra piazza Azuni e largo Cavallotti che ha preso il posto della chiesa di Santa Caterina c’è un appartamento disabitato, di proprietà del Comune. Roggio e Filigheddu hanno fatto un blitz, armati di torcia elettrica perché è stata disattivata l’utenza, alla ricerca di tracce dell’antico edificio di culto. E all’improvviso, dietro un armadio, un arco a sesto acuto: l’antica finestra absidale, dietro l’altare maggiore. L’antica Santa Caterina pertanto vive ancora e quando fu demolita era tutto fuorché un edificio in rovina. Semplicemente, la città non la voleva più e se ne è disfatta.
 

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