La Nuova Sardegna

Volonté e la sua passione per il mare della Maddalena

di Fabio Canessa
Volonté e la sua passione per il mare della Maddalena

Da oggi in libreria la vita del grande attore raccontata da Mirko Capozzoli 

14 novembre 2018
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Semplicemente “Gian Maria Volonté”. Nessun sottotitolo, solo il nome di quel gigante del cinema che ha spinto il mestiere dell’attore verso nuovi orizzonti. Il libro di Mirko Capozzoli, in uscita oggi per Add Editore (288 pagine, 20 euro), ne ricostruisce in modo dettagliato e avvincente la vita. Pubblica e privata. L’infanzia a Torino, il padre fascista, l’Accademia d’arte drammatica a Roma, il teatro, la televisione, il cinema, la passione per la vela, l’impegno politico diretto, le donne della sua vita, la figlia Giovanna alla quale ha trasmesso l’amore per la Maddalena dove riposa dopo la morte improvvisa nel 1994 in Grecia sul set di “Lo sguardo di Ulisse” di Theo Angelopoulos. Una biografia, arricchita da documenti e testimonianze inedite, frutto di un lungo lavoro di ricerca.

«Tutto nasce una quindicina d’anni fa con una tesi di laurea su di lui», racconta Capozzoli, torinese classe 1974 che ha lavorato poi anche come documentarista e montatore.

Con quale film ha cominciato ad avvicinarsi, ad apprezzare il grande attore?

«Quello che me lo ho fatto conoscere da ragazzo e al quale resto particolarmente affezionato è “Il caso Mattei” diretto da Francesco Rosi. Per come è costruito, un po’ documentario e un po’ film, con uno stile da inchiesta. Con gli anni devo dire che apprezzo sempre di più l’ultimo Volonté, che recita più per sottrazione. Da “La morte di Mario Ricci” di Goretta a “Una storia semplice” di Greco passando per “Porte aperte” di Amelio. Interpretazioni straordinarie, anche se nell’immaginario restano il Lulù di “La classe operaia va in paradiso” e il commissario di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” che tutti ricordano».

Però prima del cinema Volonté ha fatto anche tanto teatro. Una parte della sua vita da attore al quale il libro dedica ampio spazio.

«Ed è un aspetto che secondo me la critica dovrebbe indagare di più. Il teatro è stato un grande amore, in qualche modo non corrisposto a un certo punto. Quello che poi ha fatto nel cinema, un tipo di percorso, in teatro gli è riuscito solo in parte. Ha provato a fare la sua strada, un certo tipo di teatro, ma forse anche perché era un mondo molto chiuso non ha ricevuto le risposte che attendeva. Ha avuto anche delusioni dai suoi compagni, fallimenti dolorosi. E a un certo punto si è buttato completamente sul cinema».

Passando anche per la televisione. Che peso ha avuto quell’esperienza nella sua carriera?

«È importante perché comincia a essere noto con lo sceneggiato “L’idiota” trasmesso nel 1959. L’adattamento è di Albertazzi che già conosceva Volonté e lo propose per il ruolo di Parfen Rogozin. Ci aveva visto giusto. Il suo modo di recitare era diverso, era un attore moderno. Farà altre cose in tv sino al 1967, quando interpreta “Caravaggio”. Poi però, anche per problemi con la Rai, abbandonerà la tv e ci tornerà solo molti anni dopo con la parentesi della miniserie “La certosa di Parma” di Mauro Bolognini».

Nel cinema qual è il momento chiave. Quando diventa il Volonté che conosciamo?

«Anche se in quel momento era già conosciuto, avendo fatto altri film tra i quali i primi western di Sergio Leone di grande successo, è fondamentale “A ciascuno il suo” del 1967 perché per la prima volta viene premiato e perché segna l’incontro con Elio Petri. Quel film in qualche modo inaugura la stagione del cinema politico italiano, anche se la definizione a Volonté non piaceva perché per lui tutto il cinema era politico. Si lega a Petri, quindi a Rosi e ad altri autori come Montaldo e Lizzani che hanno l’esigenza di raccontare qualcosa e trovano in lui l’attore perfetto per farlo».

Protagonista del cinema di quegli anni è anche Franco Solinas che lo spingerà a conoscere La Maddalena. Cosa ha significato l’amicizia con lo sceneggiatore sardo?

«Diventano amici sul set di “Quién sabe?”, film diretto da Damiani e scritto da Solinas. Il carattere un po’ schivo del lombardo-piemontese Volonté probabilmente si sposava bene con quello del sardo Solinas. Gli trasmette l’amore per il mare, per l’arcipelago della Maddalena. Poi svilupperà anche la passione per la vela, al centro velico di Caprera».

Alla sua barca, chiamata Arzachena, nel libro dedica un capitolo.

«Perché è stato davvero un grande amore. Ci teneva tantissimo. Stare in barca era un modo per estraniarsi, essere soltanto Gian Maria. Lontano dalle chiacchiere, dai problemi che in qualche modo gli arrecava la notorietà».

A proposito di amore, la biografia sembra quasi costruita sulle grandi storie con le donne della sua vita.

«Sono relazioni importanti che in qualche modo scandiscono anche varie fasi della sua carriera. Con Tiziana Mischi muove i primi passi in teatro. Poi conosce Carla Gravina nel 1960 quando fanno insieme “Romeo e Giulietta” e il periodo passato insieme segna il passaggio dal teatro al cinema. Si lasciano proprio quando Volonté chiude con il teatro e inizia un periodo più politico durante il quale è accompagnato da Armenia Balducci. E poi c’è il momento finale con Angelica Ippolito, un periodo più riflessivo dopo la malattia (un tumore operato nel 1980) in cui cambia anche il modo di recitare».

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