La Nuova Sardegna

Milano nel ’400: soldi e tecnologia, il divo è Leonardo. Il nuovo romanzo di Marco Malvaldi

di Angiola Bellu
Milano nel ’400: soldi e tecnologia, il divo è Leonardo. Il nuovo romanzo di Marco Malvaldi

Cinquecento anni fa moriva Leonardo da Vinci, il genio assoluto. Oggi Marco Malvaldi ce lo racconta in un bellissimo romanzo storico, «La misura dell'uomo» (Giunti, 300 pagine, 18,50 euro), che...

17 novembre 2018
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Cinquecento anni fa moriva Leonardo da Vinci, il genio assoluto. Oggi Marco Malvaldi ce lo racconta in un bellissimo romanzo storico, «La misura dell'uomo» (Giunti, 300 pagine, 18,50 euro), che presenta oggi a Milano in occasione di Bookcity.

Leonardo, Ludovico il Moro, Beatrice d'Este e gli altri protagonisti del glorioso periodo sforzesco, Malvaldi ce li racconta come fossero davanti a noi, restituendoci a fondo le personalità.

Li sentiamo ridere, respirare... nel frattempo assistiamo allo strano ritrovamento di un cadavere nel Piazzale delle armi, all'interno delle mura del castello, da cui parte un giallo avvincente che si dipana in una pulsante e vitale Milano quattrocentesca così reale che pare di riconoscerne l'anima. «La misura dell'uomo» è un sorprendente e divertente viaggio nel Rinascimento che non ha pari. Senza svelarne il mistero, ne abbiamo parlato con l'autore.

“Benvenuti nel Rinascimento”: inizia così il suo romanzo, e viene in mente Manzoni che, per non parlare degli oppressori contemporanei austriaci parlò degli spagnoli. Come è nato questo libro?

“È un'opera su commissione: l'editore mi ha chiesto di scrivere qualcosa su Leonardo da Vinci. Una magnifica scusa per parlare dell'oggi parlando di 500 anni fa. Il Rinascimento è esattamente il periodo contrario a quello che stiamo vivendo”.

Lei riporta in vita, dando loro forma e sostanza, due pilastri dell'epoca: Ludovico il Moro e Leonardo Da Vinci. Come mai questo inedito fervore politico, culturale e artistico a Milano?

“C'è una caratteristica nella diffusione della culture di fine '400: il genio non è più gratis, c'è bisogno di soldi per averne a disposizione. Oggi molti di noi finiscono in Germania a fare i matematici, gli ingegneri e i fisici.

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Così all'epoca molti artisti

finivano a Milano

perché era lì ce c'erano i soldi. Ed è lì che l'arte e la scienza avevano una continua trasformazione: il sapere teorico si trasformava in oggetti, usi, tecniche adoperate tutti i giorni. Non c'era spazio per il troppo banale; lo stesso Leonardo ha ideato un girarrosto per le cucine del Moro, si è occupato di costumi e scenografie. Beatrice d'Este, la moglie di Ludovico il Moro, vestiva «Leonardo da Vinci» e se ne faceva un vanto. Un po' come oggi andiamo vestiti Armani. Non c'è un settore della tecnica o dell'artigianato nella Milano dell'epoca, sul quale non valesse la pena applicarsi”.

Veniamo ai nostri protagonisti: che tipo era Ludovico il Moro?

“Un personaggio abbastanza strano, uno di quelli che a scuola si studia male; ti dicono «è quello che ha fatto entrare i francesi in Italia». Ma è stato uno dei più grandi mecenati del Rinascimento. Si circondava di artisti e ingegneri pagandoli profumatamente per la loro gloria. Aveva un modo di amministrare la città efficace. È stato anche un «usurpatore»: il vero duca di Milano era il nipotino Gian Galeazzo, inabile al governo così come in tante altre cose e Ludovico lo mette da parte. Però governa Milano in maniera sorprendente, favorendo lo sviluppo del credito e amministrando bene la giustizia. Può sembrare strano ma i casi presenti nel libro del frate Giuliano da Muggia e dei due falsari tedeschi sono veri: i due vengono assolti. Ludovico il Moro presenzia i due processi. Assolve anche Giuliano da Muggia: per un delitto meno grave del suo, Savonarola verrà bruciato. Ho scoperto un gran numero di assoluzioni rispetto ai parametri dell'epoca, in cui ti arrostivano con una facilità notevole. Ludovico il Moro era una persona molto più aperta dei suoi contemporanei”.

Nel suo libro, ambientato nel 1493, il Moro è al massimo del suo splendore.

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Ha un rapporto molto

interessante con la moglie

ed è circondato da un universo femminile intellettualmente molto vivace. Come erano queste donne? C'è la moglie, Beatrice d'Este, che non è affatto una persona banale. Poi c'è l'amante più famosa, la Gallerani, anche lei niente affatto banale. Quando il Moro la lascia, munita di figlio e marito di comodo, per farla diventare la contessa Bergamini, Cecilia Gallerani sviluppa quello che oggi chiamiamo il «salotto»: riunisce personalità per parlare, ascoltare musica, fare giochi di società. Giochi che oggi chiameremmo di ruolo, in cui una persona pretende di essere ciò che non è e gli altri devono agire di conseguenza. Cecilia Gallerani li ha portati in auge nel 1492”.

Invece com'era Beatrice d'Este?

“Colpisce il fatto che quando Beatrice muore, Ludovico il Moro perde la capacità di gestire una situazione politica che sta diventando sempre più complicata. Beatrice d'Este dava una grossa mano al marito negli affari di Stato, anche per capire quelli che erano i caratteri, le personalità e i punti deboli delle persone con cui trattava. Molto spesso le missioni da ambasciatore vengono affidate a lei. Ed è lei che va a Venezia a cercare l'aiuto dei veneziani per formare la lega antifrancese; è lei che accoglie Carlo VIII quando arriva in Italia”.

Parliamo di Leonardo. Dal suo romanzo scopriamo molto della personalità di questo genio assoluto, molto differente da quella che ci si aspetterebbe. Che tipo era?

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Era una persona spiritosa,

brillante, tanto che il Moro

lo usa come conversatore di corte quando ci sono cene di gala con i vari ambasciatori e la personalità estere. Leonardo è uno degli invitati d'obbligo. Racconta storie, propone indovinelli. È un ingegno molto più multiforme di quanto ci aspetteremmo: arriva a Milano come musicista, come inventore e suonatore di una lira da braccio. Poi diventa ingegnere militare, ingegnere civile, scenografo, costumista, pittore; e lì dipinge il celebre ritratto di Cecilia Gallerani, «la Dama con l'ermellino». L'unica opera che non riuscirà a realizzare è proprio quella sulla quale ha puntato per farsi assumere da Ludovico e che gli fa ottenere il posto di lavoro: la statua equestre del defunto Francesco Sforza, il padre del Moro”.

Leonardo da Vinci presenta un curriculum a Ludovico. Com'era?

“Un curriculum tra il vero e il verosimile. È per metà passato e per metà futuro: non dice solo tutte le cose che ha fatto; dice al Moro tutte le cose che saprà fare. Nessuno oggi chiederebbe in un curriculum cosa sapremmo fare. È avanti anche rispetto all'oggi”.

Lei racconta che anche nella Milano del Quattrocento c'era il problema del traffico. Ed era una mobilità al femminile. Ce ne può parlare?

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Gli uomini andavano

a dorso di mulo,

le donne invece guidavano carrette sontuose, trainate da quattro giumente, e per una strada dell'epoca, il carretto era enorme. Era un po' come entrare oggi con un Suv in centro storico. Però la carretta dava la possibilità alle donne di spostarsi per tutta la città. La donna milanese non stava in casa a ricamare. Andava in giro, a caccia, si divertiva, comprava. C'era a Milano un rapporto tra i sessi molto libero e paritario. I luoghi dove si sviluppa il genio molto spesso hanno questa caratteristica”.

«La misura dell’uomo» è un romanzo storico sulla figura di Leonardo. Perché ha scelto di ambientarlo a Milano e non a Firenze?

“Perché Leonardo diventa Leonardo a Milano. Quando ci arriva, è un promettente allievo del Verrocchio. Quando se ne va da Milano, nel 1499, è Leonardo Da Vinci: l'artista più importante del mondo”.

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