La Nuova Sardegna

Quando l’Inquisizione perseguitò le donne sarde

di Eugenia Tognotti
Quando l’Inquisizione perseguitò le donne sarde

Tra il XVI e il XVII secolo oltre cento “maghe” furono accusate di essere strumenti del demonio

22 novembre 2018
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C’è un capitolo sardo nella storia della “caccia alle streghe”, un fenomeno che non appartiene, come comunemente si crede, ai secoli bui (per definizione) del Medioevo, ma all’età moderna, per usare la periodizzazione convenzionale. Il grosso delle persecuzioni contro le donne, accusate di essere strumenti del demonio, si è infatti verificata tra la fine del XVI e l’inizio del XVII sec., dopo l’avvento della Riforma protestante. Tra ‘500 e ’600 poteva accadere che donne, a metà tra guaritrici e maghe, venissero messe sotto accusa, arrestate e condannate alla tortura o addirittura al rogo perché sospettate di compiere sortilegi, malefici, fatture, o di intrattenere rapporti osceni col diavolo.

Oltre cento sotto processo. Bisogna dire che l’isola ha fornito un contributo non irrilevante, considerato il sotto popolamento in età spagnola: sono ben 105 le donne accusate di stregoneria, stando a un accurato studio condotto da due studiosi sardi sui processi per stregoneria tenutisi in Sardegna dal Tribunale della Santa Inquisizione. Non per niente, nel ‘500, quell’organismo esprime una forte inquietudine per il pericolo rappresentato dalle “streghe”, assai numerose e sottratte a ogni controllo, nonostante «producano gravi danni al Regno» . Danni considerati, evidentemente, dagli inquisitori, più gravi del malgoverno, della carestia e delle pestilenze.

Documenti spagnoli. Tra le “streghe” contro le quali furono istruiti processi, spiccano alcune storie ricostruite sulla base di documenti d’archivio trovati a Madrid. A imporsi – per la pluralità di suggestioni – è quella di Caterina Curcas di Castel Aragonès (Castelsardo), che vede in veste di inquisitore Alonso de Lorca che istruisce il processo. Nel corso delle udienze (1577) la strega costruisce una narrazione coerente: c’è una scena – un bosco misterioso forse ubicato tra Castelsardo e Sedini – e una folla di personaggi , tra cui il diavolo che le era apparso più volte nella notte, con l’aspetto di un gentiluomo che indossava vesti di vari colori e con cui aveva avuto rapporti carnali. Nel bosco in cui l’aveva condotta, la “valle dell’inferno”, c’era una folla di diavoli, maschi e femmine, che allestivano un festoso banchetto, dandosi a danze e bagordi. Questo diavolo, preso d’amore per lei, aveva un nome, Furfureddo, e le aveva ordinato di rinnegare la fede cattolica. Riconosciuta colpevole era stata condannata all’esilio perpetuo dalla diocesi di Civita-Ampurias e a un anno di carcere.

Un altro diavolo, Corbareddu, un signore vestito di verde e di nero, e talora senza vestiti, compare nel processo (tenutosi nel 1578) a un’altra strega, Angela Calvia di Sedini. C’è da credere che la tortura abbia avuto la sua parte nella “confessione” dei rapporti carnali intercorsi con il diavolo, cosa che le valse, da parte del tribunale dell’Inquisizione, la confisca dei beni, tre anni di detenzione e l’esilio a vita dal paese.

Camere del tormento. Il potere di persuasione della cosiddetta “camera del tormento” non può che avere la meglio. Si arrende una strega di Oristano, Anna Collu, accusata dall’Inquisitore Juan Çorita di aver ricevuto l’aiuto del diavolo nella ricerca di un tesoro. Dopo aver insistentemente ribadito la sua innocenza, “confessa”, raccontando un’immaginifica storia in cui entrano due chierici, l’accoppiamento con il diavolo e sette “ollas” colme di denaro. Pena: la riconciliazione con la fede cristiana, la confisca dei beni, carcere. Niente roghi, neppure per la “strega” Julia Casu Masia Porcu, conosciuta come Julia Carta, nativa di Mores e trapiantata a Siligo. Julia – come tante donne “pratiche” – è indovina e guaritrice, esercitava le artes condivise con altre donne, tramandate di madre in figlia nel ristretto orizzonte del villaggio. Disgraziatamente, uno dei tanti malati curati con “affumentos” muore. Alcune donne del paese, beneficiarie di pungas, rezettas, affumentos, la mettono sotto accusa e viene denunciata al parroco del villaggio. Le mormorazioni s’ingrossano e volano.

La scure dell’Inquisizione. La scure dell’Inquisizione è pronta a colpire. Accusata di essere «malefica, indovina superstiziosa, maga», Julia è arrestata e processata dal Tribunale dell'Inquisizione, la cui sede, nel 1563 era stata spostata da Cagliari a Sassari, mentre operava l’inquisitore Diego Calvo. Nel castello aragonese – dove si trovavano la residenza, le carceri del santo officio e la sala di tortura – la presunta “strega” viene processata per ben due volte in un arco di tempo che va dal 1596 fino al 1606. Ne ha subito un terzo qualche anno fa, quando la prefettura di Sassari ha negato al comune di Siligo – che ne aveva fatto richiesta – l’autorizzazione a dedicarle una via del paese. La Deputazione di storia patria non ha dato il suo assenso. Povera Julia Carta, strega nei secoli dei secoli.



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