La Nuova Sardegna

Angius: esorcizzo le mie paure grazie al cinema

di Fabio Canessa
Angius: esorcizzo le mie paure grazie al cinema

Il nuovo film “Ovunque proteggimi”: lunedì la prima a Torino, da martedì nelle sale

24 novembre 2018
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SASSARI. Lunedì la prima mondiale al Torino film festival, il giorno dopo l’anteprima regionale a Sassari e subito in settimana l’uscita regolare nelle sale con altre presentazioni in Sardegna e in varie città della Penisola. “Ovunque proteggimi” di Bonifacio Angius è pronto per il suo viaggio tra il pubblico. Prodotto da Ascent Film con Rai Cinema, con il contributo del Mibac, della Regione e il sostegno della Fondazione Sardegna Film Commission, il nuovo lungometraggio del regista sassarese racconta la storia di Alessandro (Alessandro Gazale), cantante incline al bere e alla collera. Quando, dopo una notte in discoteca, si vede rifiutare da sua madre i soldi necessari per fare il gradasso con delle ragazze, perde la testa e la conseguenza è il ricovero coatto. In ospedale incontra Francesca (Francesca Niedda), che non vede l’ora di uscire da lì per riabbracciare il figlio Antonio (Antonio Angius). Alessandro decide di aiutarla.

Quattro anni dopo, il nuovo lungometraggio. Ci sono dei legami tra “Perfidia” e “Ovunque proteggimi”?

«Non so bene per quali motivi, però mi trovo sempre a parlare di rapporti familiari. Un’idea ce l’avrei, ma forse finiremmo a parlare di fatti troppo personali. Resta il fatto che “Ovunque proteggimi” è un film che parla anche di famiglia. Ed è fatto in famiglia, visto che Francesca Niedda è la mia compagna e Antonio è mio figlio. Mentre Alessandro Gazale ormai per me è come un fratello maggiore. Quindi sul set si è creata una complicità profonda, familiare appunto. Mi piace quest’idea perché mi induce a pensare alla modalità di lavoro di uno dei miei registi preferiti, John Cassavetes».

Tra le differenze c’è quella dell’atmosfera. In “Perfidia” una fotografia più grigia, livida. Qua siamo ad agosto, con una luce diversa.

«Oltre alle differenze di colore dovute a un semplice fatto stagionale, il racconto aveva la necessità di un colore più caldo. Caldo come il sangue dei protagonisti. Alessandro e Francesca sono all’opposto rispetto ad Angelino di “Perfidia”, che è un personaggio totalmente remissivo. Alessandro è l’apoteosi dell’impulsività. Sono dei personaggi inconsapevolmente anarchici nello spirito. Attirano attorno a loro i giudizi negativi del mondo che li circonda. Francesca in particolare sembra uscita fuori da una canzone di Fabrizio De André, il poeta canzoniere anarchico per eccellenza».

Personaggi che sono il cuore del suo cinema. Come nascono Alessandro e Francesca?

«Il personaggio di Alessandro è un’entità che avevo dentro da sempre. Racchiude probabilmente tutti i personaggi maschili cinematografici che ho amato di più. Da Zampanò de “La strada” di Fellini, per la rudezza e la fragilità al tempo stesso, al Randle McMurphy di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Forman, per l’impulsività e l’ironia cinica, al primo Rocky Balboa, per quel cuore grande e ingenuo».

E invece Francesca?

«Ho sempre pensato che il suo personaggio andasse raccontato dal punto di vista di Alessandro. Tutte le informazioni che abbiamo su di lei, parziali, passano attraverso gli occhi di lui che non ha pregiudizi. Vede solo un sentimento puro, ancestrale, inequivocabile, di amore tra madre e figlio. Lo spettatore invece vuole sapere i perché e giudicare. La società vuole giudicare. E così Francesca potrebbe essere vista in maniera negativa, pur avendo informazioni sfumate sul suo passato, attraverso terribili pregiudizi. Nel mio intento il personaggio è in un certo senso una cartina tornasole che smaschera i moralisti e i giudici sommari del nostro tempo, anche quelli che fanno finta di avere vedute aperte».

Cosa c’è di lei nei personaggi che racconta?

«L’urgenza è sempre quell’estremizzare le mie paure e metterle sullo schermo. Tutte le volte che mi trovo alle prese con il raccontare una storia e dei personaggi, mi scopro a riflettere su come sarebbe stata la mia vita se lungo la strada non avessi incontrato quella grande passione che è il cinema. Il cinema per me è sempre stato elemento terapeutico per esorcizzare paure».

Alessandro è un cantante di musica folk, sassarese.

«Inizialmente Alessandro doveva essere un semplice cantante di piano bar, ma sarebbe stata un’immagine troppo stereotipata e ridicola. Poi ho pensato al mondo della musica folk sassarese. Un mondo autentico, fatto di gente vera, con una passione pura. Ho ascoltato tanti brani e la scelta è ricaduta su Ginetto Ruzzetta. Il personaggio di Alessandro Gazale canta in scena due suoi pezzi: “Amori amori” e “Tbru cabà”. Riarrangiati per l’occasione da Carlo Doneddu».

Con Alessandro Gazale e Francesca Niedda, terzo protagonista è il piccolo Antonio. Perché ha scelto suo figlio e com’è stato dirigerlo?

«È stata quasi una decisione obbligata, la migliore per il film. Creare un rapporto con un bambino di cinque anni quando tu ne hai già trentacinque non è facile, così dirigere mio figlio ha semplificato il lavoro. Antonio si è comunque divertito e per me fare un film con lui è stata un’esperienza indimenticabile».

Qual è il suo rapporto con Sassari?

«Ci sono nato e ho deciso di viverci coi miei figli. Ho un rapporto di amore-odio, ma credo sia per tutti così. Sassari ha un carattere speciale e mi piace l’ironia pungente dei suoi abitanti. Certo non è il giardino dell’Eden e nessuno può pretendere che io la descriva come tale. In proposito vorrei citare una frase tratta dal romanzo “La ragazza perduta” di Salvatore Mannuzzu, a mio avviso il più grande scrittore che questa città abbia mai avuto. La frase dice così: “... questa è davvero una città infelice. Cattiva anche: e fa diventare cattivi. Ma a noi in questo momento non ci interessa questa città, non è vero?”. E comunque non faccio film su Sassari, è semplicemente il luogo dove si muovono i personaggi».

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