La Nuova Sardegna

«Una donna mette in crisi i Bastardi di Pizzofalcone»

di Angiola Bellu
«Una donna mette in crisi i Bastardi di Pizzofalcone»

Lo scrittore racconta protagonisti e novità del suo nuovo romanzo, “Vuoto” Una poliziotta piemontese new entry tra i duri del commissariato di Palma

05 dicembre 2018
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Attesissimo è approdato in libreria il nuovo romanzo di Maurizio De Giovanni, “Vuoto” (Einaudi, 344 pagine, 19 euro), che ci riporta a Napoli, sulla collina di Pizzofalcone dove ha letterariamente sede il più celebre dei commissariati, quello di Palma e della sua squadra, i Bastardi di Pizzofalcone. Il team in divisa, protagonista di due fortunatissime serie tv trasmesse dalla Rai, in “Vuoto” è affiancato da una nuova entrata: la vice-commissaria piemontese Elsa Martini. In un racconto in cui onestà e generosità hanno rovesci inquietanti, che provocano un incolmabile senso di vuoto.

De Giovanni, com’è arrivato a voler raccontare il vuoto e cosa rappresenta per lei?

«Mi sono chiesto più volte che tipo di peso abbia l’assenza. Osservo la gente per strada, vedo che nessuno di noi ha un peso individuale socialmente rilevante. Poi succede che qualcuno sparisce (come è successo con Sara Scazzi, Iara Gambirasio, etc.) e queste scomparse diventano estremamente rilevanti. Dal punto di vista dell’attenzione sociale è come se l’assenza fosse molto più importante della presenza. Da questo nasce “Vuoto”; dalla contrapposizione tra presenza e assenza».

Nuove protagoniste entrano in scena in commissariato le cose cambiano. Ce ne vuol parlare?

«Il veterano Giorgio Pisanelli c’è... con la sua malattia. Anche la sua assenza in commissariato è un vuoto. Viene inviata una donna a sostituirlo, un personaggio di segno opposto: lui è un uomo buono, gentile, introspettivo, con un forte legame col territorio. Questa donna, Elsa Martini, è dura, aspra e distante; ha avuto e ha grandi problemi di natura personale, grandi sofferenze. Ha una bambina: è la sua debolezza e l’unica incrinatura nella sua enorme corazza. Una bambina così intelligente e così osservatrice che credo possa essere interessante un suo futuro sviluppo narrativo».

In Italia il romanzo giallo sta vivendo un momento d’oro. Pare essere un ottimo strumento per leggere il presente. E’ così?

«Sì, il romanzo giallo è l’unico che ha una prospettiva vera, disincantata, senza abbellimenti e senza particolari strumentalizzazioni di natura sociopolitica. E’ il vero romanzo sociale. Più che di giallo preferisco parlare di romanzo nero, essendo il giallo associato all’enigma. Il romanzo nero apre senza paura il “tombino” che abbiamo dentro».

Lei scrive un tipo di romanzo (“police procedural”, per usare la catalogazione anglosassone) dove c’è un incedere corale. Cosa le interessa indagare?

«Le catalogazioni lasciano sempre il tempo che trovano. Io scrivo polizieschi. Mi soffermo sui delitti sentimentali, passionali. Quelli che derivano dalle alterazioni dei sentimenti. I delitti finanziari, i servizi segreti deviati e simili non mi interessano, ma ognuno di noi ha le proprie storie da raccontare. Non ci sono grandi differenze nel tipo di approccio. E’ molto interessante il tipo di sviluppo dell’approccio, Ed è quello che deriva da queste storie».

Lei è interessato alle “alterazioni” dell’animo umano, quindi?

«Sì. Ai sentimenti che cambiano, e cambiando si contrappongono».

Si aspettava l’enorme successo dei Bastardi in tv?

«Non mi sono mai aspettato niente, in realtà. Quando scrivo non penso ai lettori o agli spettatori, solo a raccontare la storia che vedo, senza fare sconti né a me stesso né ai personaggi».

Come mai suoi romanzi hanno avuto questa presa su lettori e spettatori?

«Credo di scrivere storie divertenti, ma nel senso etimologico: “divertere”, cioè portare da un’altra parte. Non divertenti nel senso di far sorridere, ma nel senso di consentire un’immersione, un viaggio. Cerco di creare immedesimazione. Non faccio letteratura, non credo di avere una scrittura letteraria».

Il giallo oggi ha guadagnato un posto d’onore in libreria. E’ partito dalle edicole, un po’ snobbato dalle varie intellighenzie. Poi è stato culturalmente sdoganato ...

«La dignità della libreria passa attraverso Andrea Camilleri, il maestro rivoluzionario di questo genere. I lettori conferiscono premi comprando il libro. I premi letterari non mi interessano. Da lettore forte penso che ogni libro abbia la sua dignità. Credo che non ci sia bisogno di mettere a confronto un libro con l’altro».

Il giallo e il noir italiani stanno conquistando anche le classifiche internazionali.

«C’è in atto un bellissimo movimento del romanzo giallo italiano, che approfitta di una cosa meravigliosa: la diversità di questo Paese. La pluralità del nostro romanzo giallo è regionale: ogni regione ha i suoi meravigliosi scrittori di “romanzi veri”, che raccontano i luoghi di origine attraverso questo tipo di scrittura. Basti pensare alla Murgia dell “Accabadora”, o a Marcello Fois per rimanere in Sardegna, a Giorgio Todde, a Giulio Angioni, che non c’è più... Straordinari scrittori che raccontano la propria terra. Sono convinto che sia questo il bello del giallo italiano, contrapposto allo stile del romanzo giallo nordico che è molto omogeneo, anche quando va in direzioni diverse».

Oggi in linea generale in Occidente e in Italia in particolare la diversità non desta tutto questo trasporto e questa curiosità. Piuttosto ci sono forti richiami – politici in senso stretto e non – all’identità. Cosa ne pensa?

«La diversità in questo momento viene vista come se fosse un grave problema, un peso. Sono disgustato e terrorizzato dalla deriva che ha preso il nostro Paese. Ritengo che ci sia una rinuncia alla solidarietà e all’umanità che stanno alla base del concetto stesso del vivere insieme, del vivere sociale. Trovo preoccupante questo ritorno all’orticello e alla personalità individuale».

In che modo i libri aiutano ad uscire da questo imbarbarimento?

«I libri sono l’unico modo che abbiamo per uscire dall’imbarbarimento, perché sono un’apertura a un mondo che non è il nostro. Il libro è l’unico strumento che – di per sé – ci porta a prendere in esame il fatto che ci possano essere realtà diverse, che c’è anche altro oltre a questa orribile e costante difesa di uno spazio individuale, che in realtà non esiste».

Sta dando un’importante valenza sociale e politica alla lettura. E’ così?

«Credo che da sempre la lettura abbia svolto questa funzione. Più delle immagini: se guardo un film non devo immaginare niente. Se leggo devo immaginare costantemente. Questa necessità di immaginazione è l’unico modo che abbiamo per trovare l’opportunità personale di migliorarci. Se non immaginiamo non possiamo inventare niente. Se immaginiamo invece sì: questa è la differenza tra leggere e non leggere».

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