La Nuova Sardegna

Barbanera, l’almanacco e il calendario che sfidano il tempo

di Grazia Brundu
Barbanera, l’almanacco e il calendario che sfidano il tempo

Tre milioni all’anno di copie vendute, il calendario, e duecentocinquantamila l’almanacco, il leggendario filosofo e astronomo di Foligno aiuta a contare i giorni dal 1762

08 dicembre 2018
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Cagnolini, calciatori, montagne verdi e sfondi metropolitani, veline-un-tanto-al mese e palestrati-sotto-le-stelle, levatevi tutti. Ché non c’è trippa per gatti. Anzi, per gattini. Tutti immortalati generosamente sui calendari che in questi giorni intasano le edicole. In trepidante attesa del salto di tappo del 31 dicembre. Fate largo a Barbanera, che nelle italiche dimore ci sta da due secoli e mezzo, e delle mode se ne infischia. Tre milioni all’anno di copie vendute, il calendario, e duecentocinquantamila l’almanacco, il leggendario filosofo e astronomo di Foligno aiuta a contare i giorni dal 1762.

Allora il Barbanera veniva distribuito dai venditori ambulanti che dall’Umbria, dove si stampava e si stampa (dal tipografo settecentesco Pompeo Campana all’odierna Editoriale Campi), lo diffondevano lungo le strade polverose d’Italia. Macinando chilometri, arrivava soprattutto nelle case dei contadini e degli allevatori di bestiame, che nelle pagine del Lunario e in quelle dell’Almanacco trovavano consigli preziosi su come modellare il lavoro sul ciclo delle stagioni e sulle fasi della luna. Per più di due secoli il Barbanera ha sbaragliato tutti i concorrenti. Loro non riuscivano a scavallare le regioni d’origine; lui viaggiava per la futura nazione e si lasciava dietro una miriade di tentativi di plagio: da Napoli a Bologna, passando per Loreto.

Il più recente risale a poco tempo fa e si è concluso con la vittoria in tribunale del filosofo barbuto. Con i proverbi, i consigli pratici, le nozioni di astronomia e geografia, il Lunario e l’Almanacco di Barbanera diffondevano la cultura tra le classi più umili. E sostenevano la conoscenza reciproca di popolazioni lontane tra loro.

In un Almanacco del 1850 si parla anche della Sardegna. Silvano, amico e discepolo di Barbanera, chiede dell’isola al filosofo. E lui risponde: «La fertilità del suolo di quest’isola sarebbe notabilissima, ma l’agricoltura non vi è stata recata ancora al grado che si richiederebbe». Poi, però, aggiunge: «Nessuna tra le erbe mangerecce è quivi ignota, e tutte vi riescono a perfezione. Moltiplicatissimi vi sono gli alberi fruttiferi, e svariatissimi: gli aranci, e i limoni vi acquistano una grossezza e un’altezza straordinarie, e squisite ne sono le frutta».

Tra i fan di Barbanera, oltre ai contadini, c’erano, soprattutto fino al secolo scorso, anche gli immigrati negli Stati Uniti, che se lo facevano recapitare da casa. E poi scrittori come Gabriele D’Annunzio, che lo teneva sul comodino, Giuseppe Prezzolini, Corrado Govoni. In tempi più recenti, Umberto Eco gli ha dedicato “Una bustina di minerva” sull’Espresso, e ogni anno l’Almanacco di Barbanera propone interviste a personaggi sensibili alla tutela dell’ambiente e del patrimonio artistico. Nell’edizione 2019 ci sono anche l’archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis e Francinara Baré, la prima donna alla guida del Coiab, l’organizzazione che difende i popoli indigeni dell’Amazzonia. Il buon senso di certi consigli elargiti dal Calendario e dal Lunario può anche far sorridere. Però conserva il fascino delle cose fatte in casa, e ogni tanto è bello curiosarci.

Le vendite dicono che sono in tanti a farlo: «Ci sono tanti Barbanera quanti sono i suoi lettori – dicono dall’Editoriale Campo -. È una lettura trasversale e profondamente legata alla famiglia. Se andiamo a fondo, scopriamo che abbiamo ancora bisogno di tradizioni e di radici. Non per una forma di nostalgia del passato, ma per capire da dove arriviamo e per guardare al futuro senza lasciaci scombussolare dai cambiamenti continui».

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