La Nuova Sardegna

Il culto del pane nelle parole di Cirese e Angioni

di Giacomo Mameli
Il culto del pane nelle parole di Cirese e Angioni

Sono state due piacevoli ore di alta cultura, nei giorni scorsi nell’auditorium della Fondazione di Sardegna di via Carlo Alberto a Sassari, con le inedite “lectiones magistrales” di due numi dell’ant...

15 dicembre 2018
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Sono state due piacevoli ore di alta cultura, nei giorni scorsi nell’auditorium della Fondazione di Sardegna di via Carlo Alberto a Sassari, con le inedite “lectiones magistrales” di due numi dell’antropologia del Novecento: Alberto Mario Cirese e Giulio Angioni che hanno parlato del pane, che diventa “panis angelicus”, di quella “res mirabilis” che in Sardegna ha una delle regioni, al mondo, con la maggior diversificazione produttiva e simbolica: la panificazione tradizionale, quella religiosa, rituale, il pane delle feste e il pane dei morti, quello delle nascite e dei matrimoni, il pane dei contadini e quello dei pastori, il pane “bianco” dei potenti e il pane “civraxiu” degli umili, quasi tutta con impronta femminile.

«Studiando il pane ho colto uno dei frutti più mordenti, più esplosivi dei miei quindici anni di insegnamento all’università di Cagliari», ha detto Cirese. «Il pane è comunicazione, il pane si fa Cristo, è panis hominum», ha aggiunto Angioni. Due ore di antropologia prendendo lo spunto dalla presentazione del libro di Elsa Di Meo (una delle conoscitrici più profonde di Cirese) “Acqua di luna e farina di stelle” (Efesto edizioni, euro 35) e con la proiezione di un’intervista che la stessa Di Meo aveva realizzato con Cirese il 27 marzo del 2011 nella casa romana del professore in piazza Capri. È seguita l’ultima intervista a Giulio Angioni, fatta pochi mesi prima della sua morte, “Foghesu, i giorni del pane dolce”, un tipo particolarissimo di pane che a Perdasdefogu viene preparato soprattutto in occasione della ricorrenza del 2 febbraio per la Candelora.

Sia Cirese che Angioni hanno messo in risalto la ricchezza delle forme dei pani sardi ma hanno spaziato ai temi della panificazioni in tutti i Continenti. Angioni ha ricordato che «l’Europa è la terra del grano, l’Africa del miglio, l’America del mais e dell’Asia del riso» di tutto ciò «si nutre l’homo edens a partire dal neolitico, ma forse anche prima». Cirese, commentando la ricchezza delle tipologia del pane sardo ha parlato di una «plastica effimera sarda che con la panificazione esprime vocalità verbali e sonore». Da qui quasi un appello-sos alla cultura sarda per «proseguire negli studi fatti negli anni ’70 e ’80 con quella figura eccelsa che è stata Enrica Delitala». Il commento al lavoro della Di Meo è stato affidato ad Antonietta Sanna, autrice del fortunato libro Cuec del 2005 “Buono come il pane”. La Sanna, centrando il suo discorso su Paulilatino, ha documentato gli aspetti più significativi che, nel tempo, hanno caratterizzato i modi della panificazione: testi e immagini illustrano non solo la ricchezza e la varietà di pane esistente, ma anche le diverse fasi di lavorazione, strumenti utilizzati, valenze sociali e culturali.

Sanna ha analizzato da studiosa qual è le fasi della mietitura, trebbiatura, pulizia del grano, mola asinara, i mulini ad acqua molti diffusi nell’alto oristanese.

E poi i pani nel mondo: con la Di Meo che, raccontando i pani dell’Uzbekistan, Polonia, Bielorussia, ha spaziato sui pani di Matera e di Rieti, di Barisardo e Samugheo (“S’arroda ’e s’isposa, la ruota dello sposa”). Ed è tornata sulla sacralità del pane: da quello eucaristico, alla storia dei miracoli di Bolsena e di Lanciano. L’ex rettore dell’università di Sassari, Attilio Mastino, ha sottolineato il valore della scuola antropologica sarda che «in Cirese e Angioni ha avuto vere eccellenze, autentici maestri».

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