La Nuova Sardegna

Una storia tutta sassarese conquista il “Solinas 2018”

di Fabio Canessa
Una storia tutta sassarese conquista il “Solinas 2018”

A Gianni Tetti e Paolo Pisanu il più importante premio italiano di sceneggiatura “Tutti i cani muoiono soli”, protagonista un uomo che vive di piccoli crimini

18 dicembre 2018
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Nell’albo d’oro adesso c’è anche il loro nome. Insieme a quello di tanti professionisti del cinema e della narrazione, sceneggiatori e scrittori affermati e qualche premio Oscar: da Francesca Archibugi a Mimmo Calopresti, da Alessandro Baricco a Paolo Sorrentino. I sassaresi Gianni Tetti e Paolo Pisanu sono i vincitori del Premio Solinas 2018 per la miglior sceneggiatura con “Tutti i cani muoiono soli”, ex aequo con Maria Teresa Venditti e Lucia Giovenali, autrici di “Tempo, dubbi e farfalle”. «Due copioni che parlano di diversità e marginalizzazione con dei personaggi scolpiti e dialoghi d’intensa vividezza», si legge nella motivazione della giuria composta da Francesco Bruni, Linda Ferri, Filippo Gravino e Gloria Malatesta.

La cerimonia si è svolta a Roma al Teatro India nell’ambito dei Fabrique du Cinéma Awards e ha completato l’edizione di quest’anno del Premio Solinas dopo i giorni alla Maddalena a fine settembre quando l’attenzione si è concentrata sui soggetti dei finalisti. Da allora Tetti e Pisanu hanno continuato a lavorare sul loro progetto e la sceneggiatura si è aggiudicata il prestigioso riconoscimento nato trentadue anni fa, su iniziativa di Felice Laudadio e Gian Maria Volonté, per omaggiare il grande autore sardo Franco Solinas scomparso prematuramente nel 1982 dopo aver firmato nella sua carriera capolavori come “La battaglia di Algeri” diretto da Gillo Pontecorvo. Quattromilacinquecento euro l’assegno per i due sassaresi, metà del montepremi visto la divisione con l’ex aequo, ma soprattutto una spinta ancora maggiore verso la realizzazione del film. Per portare sullo schermo «la storia di un incontro tra due solitudini, il ricongiungimento difficile tra un padre e una figlia, l’ultima occasione di un uomo alla deriva, che ha più passato che futuro».

Così gli autori presentano “Tutti i cani muoiono soli”, progetto nato da un’idea di Paolo Pisanu pronto a esordire alla regia dopo aver lavorato anche come assistente di Bonifacio Angius per “Ovunque proteggimi”, il lungometraggio in questo momento nelle sale scritto dal regista insieme con Gianni Tetti. Non una coincidenza. Forse è esagerato dirlo, ma sembrano segnali di un interessante sviluppo cinematografico a Sassari. Di una voglia, e di una capacità, di raccontare persone-personaggi di una città di provincia in modo estremamente contemporaneo.

La storia di “Tutti i cani muoiono soli” è ambientata in inverno. «Sassari, dal centro storico alla periferia, e Platamona i luoghi principali», spiegano i neo vincitori del Solinas. Il protagonista è Rudi, un uomo sulla sessantina che vive di piccoli crimini. Buona parte della vita l’ha passata da solo, una scelta, una necessità per l’esistenza che ha deciso per sé. Temuto e rispettato, sa tutto del suo piccolo mondo. Ma non sa che le cose che ti lasci alle spalle, a volte ti raggiungono, si aggrappano a te, ti investono. Quando dovrà occuparsi di sua figlia Susanna, rimasta sola e malata, sarà costretto a fare i conti con se stesso. Così si legge nella sinossi della sceneggiatura.

«Nel rappresentare la sofferenza e i sentimenti dei nostri personaggi – sottolineano Tetti e Pisanu – c’è la volontà di estendere la loro anima e di mostrarla all’umanità intera, quell’umanità da cui non si può fuggire, che sembra inseguirli in ogni anfratto dei loro pensieri, che li perseguita presentandogli il conto delle loro sfortune e della loro inadeguatezza, che li giudica a ogni passo. La volontà di parlare di sentimenti comuni a tutti gli spettatori».

Rappresentare, ma non giudicare. Questo uno dei punti fondamentali del discorso dei due autori: «Se è vero che il cinema deve raccontare il mondo, il nostro, di mondo, non ha né buoni né cattivi, ma solo uomini e donne perennemente alle prese con l’esistenza che gli è toccato di vivere. Una riflessione che parte da noi stessi, da quando ci siamo così resi conto che Rudi racchiudeva, in fondo, anche le nostre paure. La paura di invecchiare soli, di perdere gli affetti, di diventare inutili, di non poter espiare le nostre colpe, di vedere sfuggire la vita di un figlio dalle mani».

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