La Nuova Sardegna

L'avventura di Roberto Giacobbo dentro la Madre Terra a Morgongiori

di Paolo Curreli
L'avventura di Roberto Giacobbo dentro la Madre Terra a Morgongiori

Il conduttore di Freedom - Oltre il confine racconta il suo viaggio nel tempio perduto

12 gennaio 2019
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Si è infilato nello stretto cunicolo per più di 50 metri, con tutti i suoi due metri d’altezza e 100 chili di peso, per raggiungere uno dei monumenti archeologici più straordinari della Sardegna e raccontare le meraviglie di «un’isola che non smette di stupirmi» al pubblico da record che ha seguito giovedì la quarta puntata di “Freedom-Oltre il Confine”, il suo programma di divulgazione scientifica archeologica su Rete4. Roberto Giacobbo si è anche fatto male, come ha svelato alla fine del documentario: «Ho dovuto svuotare i polmoni per poter uscire e una pietra diabolicamente infilata nella parete mi ha rotto una costola, doloroso ma niente di grave» minimizza il giornalista. Un sacrificio, (per cui i sardi lo ringraziano), per svelare al grande pubblico il meraviglioso mistero del pozzo sacro di Morgongiori, Sa Scala ’e Cresia.

Una civiltà unica. «La Sardegna mi ha sempre affascinato in tutti i suoi aspetti, a prescindere anche dal mio lavoro – spiega Gacobbo – . Noi ci teniamo sempre informati, siamo costantemente alla ricerca di cose che vengono sottovalutate, una rete costante sempre al lavoro, alimentata non solo da me ma anche da appassionati e collaboratori come Patrizia Pasquarella, di origini sarde, che ci ha segnalato questo sito incredibile».

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Un sito già studiato dagli archeologi, ma assolutamente sconosciuto al grande pubblico. «Un altro tesoro dell’isola che è una miniera di conoscenza che inevitabilmente ti porta alla scoperta, con un territorio vasto e un’archeologia ricca di intelligenza, non episodica, che racconta di un pensiero, una civiltà e un’organizzazione che ha ancora tanto da svelare». Giovedì i tantissimi telespettatori di “Freedom-Oltre il confine” hanno potuto vedere cosa nascondeva il pozzo sacro di Morgongiori, ma per Roberto Giacobbo e la sua troupe realizzare, per la prima volta, le riprese non è stato facile. «È sicuramente la discesa in grotta e nei sotterranei più difficoltosa che ho fatto fino a oggi, per cinque volte ho tentato di entrare nel piccolo pertugio lasciato nel crollo all’ingresso – racconta il giornalista –. Un’apertura minuscola che, naturalmente non si poteva allargare per non mettere a repentaglio la tenuta della struttura. L’aiuto degli speleologi è stato fondamentale per poter accedere, alla fine alla scalinata, decine di metri sotto l’ingresso. Una percorso difficoltoso che scende per 51 metri per una V profonda, ripidissima e stretta da un metro a 40 centimetri, che si allarga e restringe con diversi salti successivi. Difficile scendere e ancora più difficile risalire, per me ancora di più, perché non ho esattamente il fisico di un fuscello».

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Dentro la Madre Terra. All’ingresso del sito a Sa Grutta e is Caombus di Morgongiori, nella punta dove sorgeva la chiesetta ora distrutta di San Marco, ci sono i resti di una costruzione nuragica, forse un tempio, già studiata dal grande archeologo Giovanni Lilliu, che introduce alle scalinate di pietra. Un tempio ipogeico legato al culto delle acque di 3500 anni fa, in cui Roberto Giacobbo ha portato per la prima volta una troupe televisiva.

«La costruzione all’esterno è un accesso a un tempio o un tempio esso stesso, come abbiamo rilevato la scalinata è in direzione di questa struttura, ma è ostruita da un crollo – racconta con entusiasmo – l’abbiamo raggiunta da una spaccatura parallela alla roccia. Una discesa difficoltosa ma che alla fine ci ha presentato uno spettacolo di incredibile bellezza: una scalinata che definirei imperiale con dei gradini giganteschi realizzati da blocchi unici di pietra che finiscono nell’acqua, quando l’acqua sale, o nel vuoto, con degli stacchi sotto ancora inesplorati, e questa è la cosa più bella. Perché il sospetto è che da lì partano altre vie, che sia un accesso un passaggio per andare ulteriormente in profondità – racconta Giacobbo– . Sicuramente una testimonianza antichissima ed evolutissima, perché portare e lavorare delle pietre così grandi e perfettamente sagomate a quella profondità, manovrarle per inserirle nella roccia alla perfezione come fossero saldate nel cemento è una visione che lascia sbalorditi.

Un’emozione, vedere questa meraviglia illuminata dalle luci televisive, tutto assume un fascino particolare. Di colpo di trovi questa scalinata e ti chiedi perché a cosa serviva. È una costruzione legata alla religione? A qualche forma di culto dimenticata? Cosa rappresentava? – si chiede il giornalista – Perché se avessero voluto scavare un pozzo semplicemente per usare l’acqua avrebbero fatto un semplice buco nel terreno. Non una scalinata per arrivare in pompa magna nella profondità della terra».

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Una struttura unica. Una costruzione sicuramente legata ai culti delle acque, testimonianze dell’Età del bronzo, della civiltà nuragica di migliaia di anni fa, di cui la Sardegna custodisce monumenti straordinari come le fonti sacre di Su Tempiesu di Orune, il Pozzo sacro di Funtana Coberta nelle campagne di Ballao, i pozzi sacri legati a grandi luoghi di culto come i templi di Santa Cristina di Paulilatino e di Santa Vittoria di Serri. «Questa struttura è del tutto particolare, Santa Cristina che abbiamo illustrato durante la trasmissione, è un monumento stupendo, per esempio. Ma il sito di Sa Scala ’e Cresia è un’altra cosa – sottolinea Roberto Giacobbo –. Santa Cristina è un sito bellissimo ma sviluppato all’esterno. A Morgongiori c’è un vero e proprio tempio incastonato nella natura, la scalinata si immerge all’interno della Madre Terra, in una maniera del tutto unica e affascinante». Il segno tangibile del rapporto profondo delle antiche genti sarde con le manifestazioni della natura, da cui derivava la loro grande religiosità. Una cultura antica e importante che ha coinvolto davvero molto un divulgatore dalla notevole esperienza come Roberto Giacobbo: «Ci tengo a dire una cosa – spiega –. Io non sono uno scienziato, non sono un archeologo. Sono un giornalista che fa il trasportatore. Trasporto la conoscenza, le notizie dagli specialisti verso chi le vuole avere, il pubblico, le persone curiose, come lo sono io. Facendo il possibile perché, in questo trasporto, non si perdano pezzi e lavorando sul linguaggio. Dallo specialistico al comprensibile. Compio sempre anche il viaggio al contrario, riproponendo agli scienziati le mie interpretazioni prima di divulgarle». E in questi viaggi Roberto Giacobbo trasporta ancora dei pezzi importanti della storia della Sardegna.

Sardi e Shardana. «Ho intervistato il rettore dell’Università del Cairo, uno scienziato di chiara fama che davanti ai geroglifici che raccontano la battaglia di Qadesh con Ramses II, immagini che rappresentano soldati che impugnano le spade a forma di rombo ritrovate in Sardegna, guerrieri che arrivano dall’isola al centro del Grande Verde, non ha avuto dubbi: questi temibili Shardana sono guerrieri che venivano dalla Sardegna. Tante prove di cui parleremo nella prossima puntata della trasmissione il 24 gennaio, che danno la certezza allo scienziato che questi temibili soldati erano sardi».

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