La Nuova Sardegna

Il ritorno di Jerry Calà: «I Gatti si ritrovano Tante risate in ospizio»

di ALESSANDRO PIRINA
Il ritorno di Jerry Calà: «I Gatti si ritrovano Tante risate in ospizio»

L'attore e regista si riunisce con gli storici compagni in un film con la Brooke di "Beautiful"

11 ottobre 2019
6 MINUTI DI LETTURA





Jerry Calà riunisce i Gatti e ritorna al cinema. O meglio ritorna dietro la macchina da presa, perché la sua ultima fatica, “Odissea nell’ospizio”, viene trasmessa sulla piattaforma tv Chili. Una reunion, quella degli ex Gatti di Vicolo Miracoli, che arriva a quasi cinquant’anni dal loro primo incontro. Era il 1970 quando i giovanissimi Jerry Calà, Franco Oppini, Nini Salerno e Umberto Smaila, tutti di Verona, iniziano la loro scalata al successo, prima in tv e poi al cinema. Un sodalizio che va avanti fino ai primi anni Ottanta, poi le loro strade si dividono, ma senza mai interrompere l’amicizia. Ora il ritorno sul set, tutti insieme come nel film targato Vanzina del 1980, “Arrivano i gatti”.

Calà, prendendo spunto dal vostro primo film, possiamo dire che ritornano i Gatti?

«Certamente. Ho lavorato con loro per 12 anni. È vero che gli anni successivi ci siamo frequentati, ma rifare un film insieme è stato molto bello».

Trentotto anni dopo “Arrivano i gatti” vi ritrovate in un ospizio.

«L’idea l’ho avuta io pensando a una nostra vecchia battuta. Ai tempi ci piaceva fare giochi di parole e “odissea nell’ospizio” era proprio una gag del nostro primo film. E così partendo da quella battuta ho pensato a noi in una casa di riposo per artisti, intitolata a Walter Chiari. Questa idea calzava a pennello. Sì, perché anche nel film siamo quattro ex componenti di un gruppo mitico – i Ratti – che per vari motivi, e un po’ anzitempo, si ritrovano in un ospizio. Devono mettere da parte vecchi rancori perché la casa di riposo versa in gravi condizioni economiche. A un certo punto una rete tv li stana e gli propone di riunirsi. Da lì succedono 2mila cose, inizia una vera e propria odissea per salvare questo ospizio. È un film divertente. Nell’unica proiezione in sala all’Odeon di Milano la gente ha riso tantissimo. E ora siamo su Chili in digitale».

Nel film c’è anche Katherine Kelly Lang, la Brooke di Beautiful.

«Lei fa l’americana che vorrebbe comprare la casa di riposo per farci una villa. C’è poi Mauro Di Francesco nei panni del direttore affetto da ludopatia. Antonio Catania, che è il nostro antagonista. E poi Andrea Roncato che fa il mio impresario che continua a propormi lavori terribili. Tipo la pubblicità dei pannoloni».

Lei ha mai ricevuto proposte indecenti tipo questa?

«Sì, un paio d’anni fa mi hanno offerto di fare la pubblicità della marijuana legale. Ho rifiutato e mi sono anche offeso».

Il suo grande successo, insieme ai Gatti, arriva nel 1977 in tv con “Non stop” di Enzo Trapani, una fucina di talenti senza eguali.

«Era un periodo fantastico. Al contrario di oggi in tv si approdava dopo una lunga gavetta e con grande preparazione. Noi Gatti abbiamo iniziato nel 1970 e la televisione è arrivata dopo anni di spettacoli in giro per l’Italia. Verdone arrivò a “Non stop” dopo una lunga gavetta nei teatrini romani. Idem la Smorfia (Massimo Troisi, Lello Arena ed Enzo Decaro, ndr). I Giancattivi (Francesco Nuti, Athina Cenci e Alessandro Benvenuti, ndr) arrivavano dagli stessi nostri cabaret. “Non stop” fu una grande trasmissione che ebbe il merito di lanciare grandi artisti che già sapevano fare il loro mestiere. Ecco la grande differenza con oggi».

Nel 1980 l’incontro con Carlo Vanzina ha cambiato la sua vita.

«Assolutamente sì. È stato un punto di riferimento fondamentale nella mia carriera. Dal cabaret ero passato alla tv, e grazie a Carlo sono arrivato al cinema. Prima insieme ai Gatti. Poi a un certo punto Carlo mi chiama e mi dice: “qua arrivano offerte solo per te, tu sei il più cinematografico: devi decidere cosa fare”. È stato un periodo difficile, ho passato un po’ di pene. Lasciare il gruppo fu abbastanza traumatico, sia per me che per loro, che non la presero molto bene».

L’addio glielo rinfacciano ancora?

«Ma no, anche perché in tutti questi anni abbiamo sempre fatto collaborazioni. Umberto ha fatto le colonne sonore dei miei film, Nini è stato mio autore in tv e con Franco ho fatto diversi film insieme».

Da “Vado a vivere da solo” a “Sapore di mare”, da “Bomber” a “Vacanze di Natale”: tra i tanti personaggi che lei ha interpretato qual è quello a cui è più legato?

«Il mio film preferito è “Un ragazzo e una ragazza” di Marco Risi. È un esempio di commedia classica, romantica, divertente. Ma se penso al personaggio a cui sono più legato dico sicuramente Billo di “Vacanze di Natale”. Anche perché in qualche modo lo rimetto in scena nei tantissimi show che da anni faccio nelle piazze, nei teatri, nei locali, in cui canto e recito. È un personaggio che mi è rimasto nel cuore».

Nel 1993 arriva la svolta drammatica con Marco Ferreri in “Diario di un vizio”.

«È stata una delle mie più grandi soddisfazioni. Al festival di Berlino mi hanno dato il premio della critica italiana. Eravamo in un ristorante e c’era tutto il gotha dei critici. Sono tutti scattati in piedi, da Aldo Grasso a Lietta Tornabuoni, e mi hanno applaudito. Qualcuno mi ha anche chiesto scusa per come mi aveva trattato nel passato».

Soffriva per le critiche?

«Ai tempi dei primi film mi dispiacevano, poi il mio amico e maestro Renato Pozzetto mi disse: “Jerry, quando parlano bene di te preoccupati”».

Marina Suma, Virna Lisi, Stefania Sandrelli, Mara Venier, Isabella Ferrari, Sabrina Salerno, Sabrina Ferilli. Tante partner sul set: c’è una preferita?

«Lavorare con Stefania Sandrelli è stata, oltre che una emozione, una grande scuola. Io ero in uno dei primi film (“Vacanze di Natale”, ndr) e trovarmi a fianco a una star internazionale come lei è stato qualcosa di unico. Ricordo la naturalezza con cui recitava e l’umiltà con cui si poneva nei confronti degli altri attori, tutti giovani emergenti».

Sono passati anni da “Vacanze di Natale”, “Sapore di mare”, “Professione vacanze”. Eppure ogni passaggio in tv viene premiato dagli ascolti. Come se lo spiega?

«Me lo chiedo anche io. Forse noi eravamo più liberi. Non eravamo condizionati dal politicamente corretto così diffuso oggi. C’era più libertà di espressione, cazzeggiavamo, eravamo più spontanei, facevamo ridere. Oggi i comici – a parte Checco Zalone che è scatenato ed è infatti quello che ha più successo – sembra abbiamo paura di essere criticati e si frenano. Questo fa la differenza e i ragazzi di oggi apprezzano i vecchi film».

Da quanti anni frequenta la Sardegna?

«Dagli anni Settanta. La Costa Smeralda era ancora in fieri, il Sottovento era una capanna, si girava con macchine scassate, a Long beach erano tutti nudi. Era una Sardegna un po’ diversa. Frequentandola da quarant’anni l’ho vista cambiare».

Nel 2006 girò nell’isola “Vita Smeralda”, un film che ha anticipato alcuni scandali che di lì a poco avrebbero travolto anche la Costa.

«Vero, ho anticipato di qualche mese Vallettopoli. Tutto quel casino non aveva fatto bene alla Costa Smeralda, tutti i vipponi si sono trasferiti a Ibiza e Formentera. Ma a lungo andare questo l’ha migliorata, perché in Sardegna ha ricominciato a venire la gente che la ama veramente per le bellezze naturali. E poi sono ritornati tanti stranieri, quelli che fanno bene all’economia della Sardegna. Prima c’era un luccichio dietro cui c’era poco, oggi ci sono i ricchi veri. Questa estate li ho visti con i miei occhi».

Ieri a Terni ha ricevuto il premio alla carriera.

«Bello essere premiato in un festival del cinema popolare. D’altronde è quello che io ho sempre fatto. E le risate della gente per “Odissea nell’ospizio” me lo hanno confermato».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Incarichi vacanti

Sanità nel baratro: nell’isola mancano 544 medici di famiglia

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative