La Nuova Sardegna

Da Sassari a Botteghe Oscure La vita del leader più amato

di Riccardo Ferrigato
Da Sassari a Botteghe Oscure La vita del leader più amato

Nella ricostruzione di Riccardo Ferrigato la parabola del segretario del Pci

13 ottobre 2019
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Pubblichiamo la parte iniziale del primo capitolo del libro di Riccardo Ferrigato su Enrico Berlinguer che sarà in edicola il 18 ottobre per inaugurare l’iniziativa editoriale della Nuova “Storia di Sardegna. I grandi personaggi”.

* * *di Riccardo Ferrigato

Autunno 1944, Roma è da poco liberata. Giulio Spallone, responsabile del movimento giovanile del Partito comunista italiano, ha di fronte un giovane che gli mette in mano un biglietto: «Questo è il compagno Berlinguer, che viene dalla Sardegna. Utilizzatelo nella vostra organizzazione». La firma è quella del leggendario “Ercoli”, ovvero Palmiro Togliatti, segretario del Pci e ministro del secondo Governo Bonomi. Spallone non può che obbedire.

Enrico Berlinguer è nato a Sassari il 25 maggio 1922 da una famiglia nobile, una delle poche a contare davvero nella città sarda. Il nonno paterno, Enrico, avvocato e mazziniano, ha fondato e diretto La Nuova Sardegna; il nonno materno, Giovanni Loriga, è stato medico e professore all’Università di Roma. Mario, padre di Enrico, ha seguito la tradizione familiare sia come avvocato sia alla guida del quotidiano di famiglia. È stato eletto deputato – liberaldemocratico – nelle ultime consultazioni prima del Ventennio. Tornerà a sedere in parlamento nel dopoguerra, in quota socialista, dal 1948 al 1968.

Nel 1944 tra i Berlinguer e Palmiro Togliatti ci sono pochi gradi di separazione: Mario collabora come giurista coi governi Badoglio e Bonomi formatisi dopo la svolta di Salerno e di cui fa parte il Pci; sua sorella, Ines, è moglie di Stefano Siglienti, ministro delle Finanze. E, soprattutto, Mario Berlinguer e il Migliore si conoscono fin dai tempi della scuola: entrambi hanno frequentato il liceo classico Azuni di Sassari.

Enrico Berlinguer, a Roma, lavora molto e parla assai poco, già tutto compreso nel ruolo di funzionario di partito. È un ragazzo chiuso, con alle spalle una giovinezza ricca di dolori e colpi di testa. A quattordici anni ha perso la madre, Mariuccia, morta di encefalite epidemica dopo oltre un decennio di sofferenze che hanno segnato lui e il fratello minore, Giovanni. Più che dal padre, Enrico è stato influenzato dallo zio Ettorino, giovane, idealista e anarchico che gli ha insegnato le arti della navigazione a vela e del poker. Così il giovane “don Berlinguer” ha scoperto gli operai, i lavoratori e i comunisti nel retrobottega del bar Rabbattu, dove si giocava a carte immersi nel fumo di sigaretta.

Nel 1940 Enrico si è iscritto all’Università di Sassari, facoltà di Giurisprudenza. Se ginnasio e liceo era no stati superati senza grandi entusiasmi né eccellenti risultati, qui si appassionò agli studi. Furono anni in cui lesse molto, soprattutto i classici della formazione comunista. Nell’estate del 1943 aveva preso la tessera del Pci, poi aveva costituito ed era diventato segretario della Gioventù comunista della sua città.

Il vero battesimo della falce e martello arriva all’inizio dell’anno seguente. Berlinguer già guida centosedici giovani compagni – tutti maschi – che indottrina e seduce con la promessa della rivoluzione proletaria, naturale esito della caduta del fascismo. L’inverno del 1944 è particolarmente duro, anche in Sardegna, e per i ceti popolari scarseggia il cibo. Sono proprio i giovani comunisti a organizzare le prime proteste per chiedere pane, pasta e zucchero. In tre giorni i moti coinvolgono duemila persone, che assaltano e saccheggiano forni e negozi. Il responsabile dei giovani comunisti viene arrestato il 17 gennaio insieme ad altri compagni: resterà in carcere tre mesi con accuse che comportano la pena di morte, e sarà liberato quando Badoglio annuncerà la formazione di un governo di tutti i partiti antifascisti, comunisti compresi. La galera è «formativa», dirà Berlinguer: in quei mesi decide di chiudere con l’università – non si laureerà mai –, scansare lo studio di avvocato del padre e dedicarsi a tempo pieno alla politica. Per Mario, ansioso di allontanare il figlio dalla città in cui è stato arrestato, è naturale spianargli la strada presentandolo direttamente a Palmiro Togliatti.

La carriera da funzionario di Enrico Berlinguer muove i primi passi con un incarico a quattrocento lire al mese nel lavoro sindacale. Evolve però in fretta, promuovendolo alla carica di vice responsabile nazionale del movimento giovanile. A differenza di molti compagni e compagne, Enrico non ha partecipato alla Resistenza e, in anni in cui è fondamentale poter vantare una “storia militare”, gli è difficile farsi una reputazione. Eppure lavora tantissimo e dimostra eccezionali doti organizzative. Togliatti crede in lui e, nel giugno del 1945, lo trasferisce a Milano per riportare l’ordine, dopo l’insurrezione del 25 aprile, tra i giovani compagni del Nord. Non è una scommessa da poco: lui, uno sconosciuto che arriva dalla Sardegna, deve convincere gli ex partigiani a consegnare le armi e a rimettersi in buon ordine alle regole democratiche. Spiegare, insomma, che la rivoluzione proletaria è già un ricordo.

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