La Nuova Sardegna

«Berlinguer, grande lezione per l’Italia smarrita di oggi»

di Salvatore Mannuzzu
Enrico Berlinguer
Enrico Berlinguer

Il ricordo di Mannuzzu sul dirigente comunista, la cui biografia è in edicola dal 18 ottobre

17 ottobre 2019
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Pubblichiamo una parte dell’introduzione scritta da Salvatore Mannuzzu per il libro “La via dell’austerità. Per un nuovo modello di sviluppo”, una raccolta di scritti di Enrico Berlinguer pubblicata da Edizioni dell’Asino.

* * *di SALVATORE MANNUZZU

Resta qualcosa, oggi, del progetto politico di Enrico Berlinguer? È possibile trarne qualche lezione per i nostri anni? O è vero che Berlinguer va definitivamente dimenticato?

Anch’io vedo i limiti delle analisi e dell’azione politica di Berlinguer. Del resto lui vivo eravamo molto insofferenti. Era intollerabile, per esempio, che le intuizioni del compromesso storico, giuste o sbagliate che fossero, trovassero attuazione in quei governi della solidarietà nazionale, e nelle assidue, estenuanti trattative sui divani di Montecitorio tra il povero Nando Di Giulio e Franco Evangelisti. Sí, questo è un limite certo, difficile anche oggi da accettare, della politica di Berlinguer. (...)

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Non nego che l’operazione già come era stata pensata trascurasse importanti referenti sociali: non solo cattolici, anche socialisti, anche dell’estrema sinistra. Però lo stesso Pietro Ingrao (severo critico, si sa, del compromesso storico) deve ammettere che l’incontro tra Enrico Berlinguer e Aldo Moro, ove si fosse davvero realizzato – purtroppo i tempi erano quelli di Moro e della Dc, mentre alla fine si verificò la tremenda variante del sequestro e dell’assassinio di Moro – lo stesso Pietro Ingrao, dicevo, deve ammettere che quell’incontro avrebbe rappresentato in Italia la caduta della cortina di ferro. Ma del compromesso storico credo valga di più anche per l’oggi l’opzione di metodo. E ritengo siano ingenerose le critiche di quanti hanno sempre sottolineato le minacce alla democrazia italiana, i veleni che ne inquinano endemicamente l’aria, e insieme continuano a sostenere l’infondatezza delle preoccupazioni cilene di Berlinguer.

DEMOCRAZIA A RISCHIO. La piattaforma del vivere civile andava e va rafforzata, con opzioni condivise di regole essenziali e valori di fondo: al di là delle singole provenienze, delle singole storie. Tanto più oggi che le minacce assumono una pesante concretezza di rivincita sulla costituzione repubblicana; e i veleni antidemocratici lievitano dentro una grossa maggioranza parlamentare. Occorre un’alleanza vasta, quasi un nuovo fronte di liberazione nazionale, capace di mobilitare le coscienze, di estendere davvero la partecipazione; ma la si costruisce con meno fatica se ciascuno conserva la sua identità e si fa forte della sua memoria. Questa a me pare la lezione del compromesso storico di Berlinguer, anche negli insuccessi.

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CONSUMI GLOBALI . Ma il lascito piú importante di Berlinguer forse è l’austerità: come nuova dimensione globale dei consumi, e quindi come nuova dimensione dei modi di produzione e dei modi di governo del pianeta. Mentre aumenta il rischio dell’ecosfera, mentre il mondo è sempre piú devastato dalle disuguaglianze, non esiste ragionevole alternativa a un compromesso nuovo – storico nell’accezione piú alta – per uno sviluppo sostenibile e un’equa distribuzione delle risorse mondiali. Solo cosí si può restituire la politica ai suoi fini piú veri.

Quello dell’austerità fu però uno dei temi piú fraintesi (del resto era destino di Berlinguer venire assoggettato a letture riduttive e a semplificazioni mistificanti). Frainteso, e considerato con imbarazzo, quel tema, anche da coloro che avrebbero dovuto esserne i custodi piú interessati: gli appartenenti alla “classe operaia”. Ricordo che nelle riunioni di partito lo si spiegava al popolo con particolari cautele; poi i singoli compagni, magari cassintegrati o disoccupati, ripetevano l’imparaticcio dalla tribuna del comitato cittadino (o federale) quasi tutti con le stesse parole di diffida: non si tratta certo di vivere come miseri fraticelli. La realtà era che il verme del tempo da bere era già penetrato nelle nostre povere carni, deboli e coriacee.

VERSO IL PRECIPIZIO. Lì continua, s’intende, a lavorare, fino alle estreme conseguenze. Adesso che il tempo da bere ce lo siamo tutto bevuto e insistiamo a portarci alle labbra il bicchiere vuoto, sollevando indecentemente il gomito e storcendo il collo: diabolicum perseverare. Ma noi perseveriamo: mentre il “rotolare verso il precipizio”, di cui parlava il compianto Enrico, da “piú o meno lento” si è fatto rapido. Né si creda che toccare il fondo significhi una qualche salute: il peggio non è mai morto; specie se di bicchieri pieni, anzi piú pieni, sfacciatamente pieni, con piú autentica indecenza, ne rimangono tanti, troppi.

CIVILTÀ NUOVA. Aveva ragione Berlinguer, allora: quando proponeva l’austerità come “condizione di salvezza” e insieme come “trasformazione”; dandone una nozione attiva, dinamica, di “leva” liberatoria e insieme di progetto di società, di “concezione di civiltà”. Non si tratta di produrre di meno, e consumare di meno, beni e servizi; si tratta di produrne e consumarne (farne consumare) di piú; anzi l’austerità è l’unica vera strada per produrre di piú, producendo lavoro. Beni e servizi, però, complessivamente diversi da quelli attuali; per gente diversa: anche nell’anima; e per molta piú gente, per gente infinita.

ORIZZONTE POSSIBILE. È possibile? Non è impossibile. Certo non basta che ce ne convinciamo in pochi, e nemmeno che (come pure è necessario) lo viviamo, in pochi. Bisogna che se ne convincano in tanti, di qua e di là da ogni confine: e che in qualche modo lo facciano diventare parte – almeno parte – delle loro vite. Cultura, “moralità nuova”, di massa; e potere diffuso, vincente: potere collettivo che decide. Ma occorre che qualcuno cominci (anzi, riprenda). E dove, e quando? Dove volete voi; comunque, adesso. (Si è perso il senso della realtà – e del ridicolo – se lo si dice hic et nunc, nel multiforme cuore di tanto disastro? Non credo. Non c’è altro orizzonte. E caratteristica del disastro è la fine dell’orizzonte: lo sguardo che non va oltre il naso).

© Edizioni dell’Asino, Roma
 

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