La Nuova Sardegna

La passione del notaio: "Tutto il mondo è un giocattolo da collezionare"

Mario Frongia
La passione del notaio: "Tutto il mondo è un giocattolo da collezionare"

Antonio Galdiero: «Il mio ultimo colpo? Carmencita e Caballero, i pupazzetti del caffè Paulista».

19 ottobre 2019
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«Il mio ultimo colpo? Carmencita e Caballero, i pupazzetti del caffè Paulista». Lo sguardo brilla, l’eloquio è lievemente concitato. Antonio Galdiero sorride. Notaio di fama – undici addetti nel suo studio-museo da 500 metri quadri nel quartiere Fonsarda di Cagliari – ha dalla sua un’esuberanza fanciullesca. Forza propulsiva legata al passato. E a quel che il passato conserva, disegna, riproduce. Telefoni staccati, impiegate e giuristi che non devono interrompere, il Cicerone che affianca rogiti e collezioni, regala sorprese. La terrazza che i clienti non vedono ospita biliardino e flipper degli anni Settanta, un frigo grande quanto un trolley («L’ho trovato nella camera da letto padronale di una casa al mare»), le sedie in plastica da una piadineria romagnola.

Eccentricità e gusto

Un viaggio nel tempo. Laico, meditato, avvicinante. E nostalgico. Come riaprire l’album dei ricordi. E rivedere adolescenza, amici, luoghi archiviati. Dalle foto all’asilo alle pizzate del liceo. “La storia siamo noi” canta Francesco De Gregori. Antonio Galdiero mostra e va avanti. Il percorso è a metà tra passione e malattia. Più un filo di eccentricità, gusto e sensibilità. Aggiungete un dito di romanticismo. Spruzzateci sopra le attenzioni per la storia e avrete l’identikit del collezionista.

La prima raccolta

Pignolo, preciso, con ideali di completezza e stravaganza. Il notaro annuisce. E spiega: «Mia madre Francesca collezionava tazzine di caffè. Io a dieci anni avevo già una bella raccolta di francobolli. Curioso? Mi appassiona il Modernariato. Certo, c’è la nostalgia del passato. Si possono rivivere dei momenti particolari. Ma spesso gli oggetti a cui tengo di più li ho presi casualmente. Ad esempio, le pompe di benzina le ho viste da uno sfasciacarrozze mentre andavo per un atto al Policlinico di Monserrato. Le ho pagate un migliaio di euro».

L’approccio sentimentale si mischia con raziocinio e intuito. Da convogliare su una catalogazione originale. «Ho 71 macchine per scrivere, 68 cartelloni cinematografici originali, decine di poster, modellini d’aereo, giocattoli per bambini, telefoni a gettoni. Circa quattrocento pezzi qui in studio e a casa di mia madre conservo oltre cinquecento lattine di birra, coca cola e altre bibite. Cellulari? Ne ho solo una decina, sembrerà strano ma nessuno se ne priva volentieri». Il dottor Galdiero rimugina. Scelte umane e professionali, il tempo che fugge. Un modo come tanti per provare a sconfiggere l’inesorabile marcia del calendario. «Mi piace e gratifica l’ambiente che ho creato in studio. Sì, ha avuto un ruolo chiave il concetto estetico. Anche dove stavo prima avevo diverse macchine da scrivere. Qui ho potuto esporle. Il trasloco? Ho saputo di questa falegnameria in disarmo. C’erano solo macerie, tutti mi sconsigliavano e mi davano del matto. Ma ho la testa dura, ho pensato a una via di mezzo tra l’open space e la riservatezza di ciascun ufficio. Ogni studio è a vista, lo si vive assieme con la giusta privacy. E ho potuto dare respiro a ciascun pezzo».

In caccia su eBay

Architetto d’interni mancato. L’aria che si respira è quella di un alveare che macina documenti e atti a mille all’ora senza particolari frenesie. Sul maxivideo a muro gira la clip del cantiere e della ricostruzione. «Sono arrivato nel 2009. La curiosità? Nel 2001 hanno girato qui il film di Enrico Pau “Pesi leggeri”. Suggestivo, nonostante fosse un rudere». Si entra nel vivo. «Ho nel cuore le macchine per scrivere. Ho scritto la mia tesi di laurea con l’Olivetti lettera 22 di mio padre: è stata la prima. L’ultima? La scorsa settimana, dopo aver smanettato sul web anche nelle ferie estive, su eBay ho trovato quella di Barbie. L’ho pagata 25 euro».

Opera d’arte e giocattolo in un orizzonte temporale di 150 anni. «Tengo molto alla Mignon Aeg di Berlino, risale al 1905. È una macchina particolare, ha una punta, una serie di caratteri, un indice e due tasti. Si individua la lettera e si scrive. La provenienza? Il regalo di un amico che l’ha comprata a Cagliari da un antiquario specializzato. Vale 300 euro». Antonio Galdiero carezza i pezzi. Gesti garbati, tra affetto e riconoscenza. «La macchina più pregiata? La Oliver typewriter. Ha i tasti laterali divisi, è pesantissima. Ma quella a cui sono più affezionato è la Valentina di Sottsass: puro Modernariato. In questo periodo sto seguendo con attenzione questo settore. Indago su produttori, epoche e utilizzatori. Ho visto di recente in tv un servizio su Gianni Brera. Usava la Lettera 32, l’ha regalata a Gianni Mura di Repubblica che la tiene come oggetto di culto. Quella? È la Smith-Corona usata anche da Einstein».

Il notaio indica e rilancia. «Collezionista compulsivo? Quasi mai. Mi diverto a cercare e mi godo gli oggetti e i loro tempi. Penso al tandem della Graziella, la prima bici pieghevole: per la mia generazione ha rappresentato tanto. E non scordo le lampade: ho due lampadari di Venini che valgono svariate migliaia di euro e sono piuttosto rari. E quella nera – dice indicando una piantana in ceramica – l’ho trovata scontata in una boutique che ha chiuso». L’uomo si muove in souplesse. Non cerca ma appena capita coglie l’attimo. «Vado a Parma al Mercante in fiera e a Milano e Roma ho una serie di negozi da visitare. Più spesso compro a Cagliari e su eBay. L’Aprilia Motò? L’ha disegnata Philip Starck, risale agli anni Novanta ed è esposta anche al Moma di New York». Moto, ciclomotori, panchine, registratori di cassa, telefoni vintage un po’ ovunque. Ma anche spot pubblicitari: splendido il quadro-sveglia con Nino Manfredi che sorseggia il caffè. Sulle pareti un altro grande balzo a ritroso. «I cartelloni dei film erano un mio pallino. Ho girato ovunque, mi hanno segnalato un cinema di Villacidro oramai chiuso. Il proprietario me li ha venduti in blocco. Il più bello? “I quattro dell’Ave Maria”. Spettacolare, anche perché non è una foto ma un manifesto dipinto a mano».

Fiuto del lupo solitario

Poco oltre, nell’atrio, un cartello in metallo perfettamente restaurato sovrasta una panca del dopoguerra. Si legge “Personale al completo”. Proviene da un’azienda del Campidano. «È bellissimo, l’hanno preso da una recinzione. Ormai chi mi conosce sa cosa mi piace. Anche gli arredi delle stazioni ferroviarie li ho trovati grazie a delle segnalazioni. La chat dei collezionisti? Esisterà pure ma io non ci sono».

Un lupo solitario. Fiuto e perseveranza. «In studio la collezione vive, i collaboratori mi assecondano, spesso spostiamo i pezzi e li mettiamo in ordine, faccio delle ricerche.

I clienti? Si incuriosiscono e collaborano: una signora è venuta per un atto e mi ha regalato un’Olivetti lettera 32. La possedeva il marito, deceduto da anni. “Ci tengo che l’abbia lei”. Qui sta meglio che a casa mia mi ha detto salutandomi. Anche con l’anziana madre di un amico meccanico è andata così». Dalle macchine per scrivere alla rivoluzione tecnologica. Un passo breve. Con la voglia di incastrare la quotidianità. «Sto iniziando a collezionare gli Apple degli anni Duemila. Ho due MacBook, uno bianco e l’altro nero. L’evoluzione è rapidissima, sono certo che diverranno oggetti di culto. Quello nero è già raro, ne hanno prodotto pochi pezzi. L’ho trovato su Subito.it da uno di Sassari che lo stava regalando».

Il passato e il futuro. Dei tempi e della collezionismo senza fine. Un set in bianco e nero. Con suggestioni ed emozioni a colori. Antonio Galdiero riflette. «Il prossimo passo? Ho stipulato un atto per la cooperativa che gestisce il Lazzaretto a Sant’Elia – svela –. Hanno visto la collezione e mi hanno proposto di esporla da loro. L’idea mi piace. Ma prima vanno fatte le schede storiche e tecniche di ciascun pezzo».

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