La Nuova Sardegna

Alghero

Tentata evasione, la “talpa” era in cucina

di Andrea Massidda
Tentata evasione, la “talpa” era in cucina

Giovanni Pirisi, docente dei detenuti, è finito in cella con l’accusa di aver preso soldi per agevolare la fuga di tre albanesi

23 ottobre 2013
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ALGHERO. Era il docente del corso di Cucina che - con ottimi risultati in termini di rieducazione - l’istituto Alberghiero tiene da svariati anni all’interno del penitenziario cittadino. Ma Giovanni Pirisi, 42 anni, algherese, ultimamente non si limitava a insegnare ai detenuti come districarsi dietro i fornelli. Tutt’altro: pare invece che in cambio di denaro rendesse loro alcuni favori. Favori a volte troppo grandi per uno che è pur sempre un pubblico ufficiale. Secondo la procura della Repubblica, infatti, è proprio lui l’uomo che il 14 gennaio scorso, dopo aver intascato circa mille euro, fornì a tre albanesi rinchiusi in una cella gli strumenti necessari per tentare una rocambolesca evasione sventata alle 5 del mattino, quando a separare i fuggitivi dalla libertà era rimasto soltanto un muro di quattro metri da discendere con una corda.

L’arresto. Così, ieri, al termine di un’indagine su un cittadino che pareva al di sopra di ogni sospetto, gli agenti della polizia di Stato e i colleghi della polizia penitenziaria hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Sassari Antonello Spano su richiesta del sostituto procuratore Elisa Loris. E hanno stretto le manette ai polsi del docente, che adesso si trova rinchiuso nel carcere di Bancali in attesa di essere sentito dai magistrati.

L’indagine. L’inchiesta portata avanti in questi dieci mesi dagli uomini agli ordini del dirigente del commissariato Valter Cossu e del comandante della casa circondariale Antonello Brancati, non è stata semplice: tutto si è dovuto svolgere con il massimo riserbo attraverso un attento monitoraggio di chiunque frequentasse l’istituto di pena. Alla fine è emerso che l’indagato incontrava i familiari di alcuni detenuti ed era solito avvantaggiare certi reclusi. I quali, grazie alla sua complicità, riuscivano a ottenere utensili la cui introduzione in carcere non era autorizzata. Strumenti come seghetti e telefonini, ossia quelli che Leba Gojart (31 anni), Bilishti Olsjau (27 anni) e Laci Dilaver (46 anni), tutti detenuti per reati connessi allo spaccio di droga, hanno utilizzato per tentare l’evasione fallita all’ultimo momento, quando il sistema di videosorveglianza ha fatto improvvisamente scattare l’allarme.

Il piano. Contando sul materiale che aveva fornito loro Pirisi, i tre avevano studiato la fuga nei minimi particolari. Prima di segare le sbarre con alcuni arnesi taglienti, le avevano "ammorbidite" con l’acido muriatico. Una operazione fatta presumibilmente nella notte tra sabato e domenica, perché nei giorni festivi il controllo è più blando. Poi, senza dimenticarsi di sistemare una sorta di manichino nei loro letti, così da simulare la sagoma di un uomo che dorme, nel silenzio totale avevano raggiunto in maniera spericolata il muro di cinta del carcere. A organizzare tutto era stato Leba Gojart (ricorrente in Cassazione con fine pena provvisoria nel 2022), lo stesso detenuto che, durante tutte le fasi della tentata evasione, utilizzando un telefonino era restato in costante contatto con un complice (una cittadina straniera attualmente reclusa per altri reati) che li attendeva a bordo di un’automobile nei pressi di via Vittorio Emanuele. Se il piano fosse riuscito sarebbe stato degno di una sceneggiatura di Hollywood.

Il complice. Sempre secondo le indagini, è stata proprio questa donna straniera - compagna di uno dei fuggitivi - a corrompere Pirisi con una cifra di poco inferiore ai mille euro.

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