La Nuova Sardegna

Cagliari

«Quello stabilimento è una ricchezza»

«Quello stabilimento è una ricchezza»

Appello dei dipendenti licenziati che non accettano il sacrificio imposto «soltanto alla produzione fatta qui nell’isola»

22 giugno 2013
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CAGLIARI. Ci penserà la sorveglianza edilizia del Comune a vedere se potevano essere fatti i lavori durati mesi nello stabilimento di viale Marconidove fino al 2006 si sono prodotti i gelati Algida. Nessun cartello che spiegasse cosa avveniva nel recinto della fabbrica, perché tanti camion uscissero con un carico di terra e che fine abbia fatto l’impianto che andava ad ammoniaca: questi e altri interrogativi si sono posti gli ex dipendenti che non hanno alcuna intenzione di mollare nella sorveglianza costante di quel che sta succedendo in uno stabilimento un tempo fiorente, elogiato dall’azienda per la capacità produttiva ma sacrificato per non si sa quali interessi. La Unilever, multinazionale di origine olandese, da quel che i lavoratori hanno appreso non ha riconvertito le produzioni italiane, ma per qualche ragione mai spiegata ha deciso che lo stabilimento elogiato doveva chiudere mentre poteva andare avanti il gemello di Caivano, in Campania. Addirittura, raccontano i lavoratori, quando la fabbrica di viale Marconi chiuse i battenti ci fu la proposta di portare venti lavoratori cagliaritani in Campania, ma nemmeno questo è mai successo. D’altronde, la chiusura di Cagliari pare abbia fatto crescere il lavoro di altri stabilimenti. Vero? Falso? Da anni, dal 5 dicembre 2006, giorno della comunicazione ufficiale della chiusura dell’azienda, i lavoratori vivono l’incubo di non sapere mai se quel che la ditta dice è vero e se quel che le istituzioni promettono sarà mantenuto. E’ cambiato il proprietario, ma lo stile di comunicazione è rimasto lo stesso: contradditorio, almeno. Parlano attraverso comunicati, che scrivono tutti assieme in locali prestati da un’associazione di volontariato. L’80 per cento dei gelati consumati in Sardegna arrivava dallo stabilimento di viale Marconi aperto da Efisio Orrù negli anni Settanta, l’Unilever comprò, gli ex lavoratori raccontano di aver soccorso anche le produzioni di altri stabilimenti come quando producevano il “Cucciolone” che si sarebbe dovuto fare a Caivano. «Noi avevamo una flessibilità enorme, contratti a chiamata quasi unici in Italia», dicono in tre che parlano a nome di tutti, «ma quando hanno dovuto sacrificare qualcosa, ci hanno scaricato». Sono passati anni ma gli ex dipendenti Uniliver sperano ancora: il nuovo proprietario, Giuseppe Esposito, doveva far ripartire lo stabilimento, poi nel 2009 un altro imprenditore cagliaritano manifestò interesse per rilevare lo stabilimento presentando anche una proposta economica. Ma non è andata avanti neppure questa.

Nel febbraio 2013 i lavoratori si sono fatti vivi di nuovo davanti alla fabbrica con un sit in: la produzione deve riprendere, lo spazio di mercato c’è, l’attuale proprietà negli anni ha detto di voler rilanciare la fabbrica però adesso dentro lo stabilimento le cose stanno cambiando, agli occhi esperti dei lavoratori pare che l’attuale proprietario stia risolvendo un problema per conto di Unilever che aveva accanto allo stabilimento una piattaforma distributiva per cui pagava un affitto e adesso ha lasciato quei locali e, guarda caso, si parla di nuove celle per la distribuzione proprio nell’ex stabilimento.

I lavoratori chiedono di nuovo l’attenzione pubblica, finora ha risposto un consigliere comunale, Enrico Lobina, che ha smosso qualcosa con un’interrogazione in aula.

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