La Nuova Sardegna

Nuoro

Il detective privato: «Il confidente scrisse la lettera anonima»

di Valeria Gianoglio
Il detective privato: «Il confidente scrisse la lettera anonima»

Nelle parole di un teste i retroscena delle indagini difensive Sospetti, tabulati telefonici e i rapporti tra Pira e il poliziotto

04 luglio 2014
4 MINUTI DI LETTURA





NUORO. Evocato più volte nelle scorse udienze, chiamato in causa, a sorpresa, dal pm Danilo Tronci, citato da alcuni testimoni, a volte pure con una punta di scetticismo circa il suo nuovo lavoro. Sessantadue anni, una lunga carriera da maresciallo dei carabinieri, e una nuova fase della sua vita a rein ventarsi nel ruolo di investigatore privato, Ernesto Battistotti è il terzo a deporre, ieri mattina, al processo in corte d’assise per la morte di Dina Dore. Al suo fianco, una cartella zeppa di fogli e fascicoli. Sono le carte che ha raccolto da quando, diversi mesi orsono, i familiari e gli avvocati di Francesco Rocca, Mario Lai e Angelo Manconi, sfruttando la possibilità prevista dalle nuove norme di svolgere indagini difensive, gli hanno chiesto di scavare tra Gavoi e dintorni per cercare la verità sulla morte di Dina Dore. E scoprire anche chi fosse l’anonimo, ovvero colui che con la sua lettera, trovata il 23 ottobre 2012 davanti a casa di Graziella Dore e Rino Zurru, aveva ridato vita alle indagini e chiamato in causa Rocca nel ruolo del mandante e Pierpaolo Contu nel ruolo del killer.

«Mi chiamo Ernesto Battistotti – esordisce lui in corte d’assise, rispondendo alle domande del pm Tronci – sono un investigatore privato di Macomer, prima ero maresciallo dei carabinieri. E sì, nel 2012 sono stato sottoposto a indagini per concorso in un tentato omicidio, ma la vicenda si è chiusa con un’archiviazione chiesta dallo stesso pm». Il pm, subito dopo, lo incalza su un episodio citato nella scorsa udienza dal tenente dei carabinieri Gabriele Tronca. Che aveva raccontato di una visita che aveva ritenuto sospetta di Battistotti in caserma a Macomer qualche tempo fa. Una visita nella quale, dopo qualche preambolo, Battistotti, aveva detto Tronca, aveva parlato delle sue indagini difensive per il caso Dore. «Ma lei non aveva l’obbligo di riservatezza?» gli chiede il pm. «Non ho riferito cose riservate – risponde Battistotti – ho riferito le mie impressioni. In caserma a Macomer ci ero andato perché volevo riferire al capitano Invernizzi qualche notizia circa un traffico di droga a Bosa. Ma il capitano non c’era e Tronca l’ho incontrato nel corridoio».

«Signor Battistotti – gli chiede, invece, l’avvocato Mario Lai – il discorso col tenente Tronca è poi caduto anche sull’agente scelto Antonello Cossu?». «Sì – dice lui – Tronca mi disse che Cossu aveva creato problemi ai suoi colleghi del commissariato, a causa di alcune parentele e amicizie». «Lei, a Tronca, ha fatto il nome di Gavino Pira?» gli chiede l’avvocato Angelo Manconi. «Sì – replica Battistotti – premetto che uno dei compiti del mio mandato investigativo era quello di scoprire l’identità dell’autore dello scritto anonimo che accusava Rocca e Contu. Ho fatto le mie indagini, e sono giunto alla conclusione che l’autore dello scritto anonimo era anche il confidente di Antonello Cossu. Dalle mie ricerche poi, emergeva la figura di Gavino Pira. Soprattutto per i suoi stretti rapporti con Cossu. Da alcune relazioni dei carabinieri di Sindia, risulta la presenza di Pira a casa di Cossu e con il cognato Sardu Giancarlo, in diverse occasioni». Il pm Tronci lo in calza: «Da cosa ha tratto il convincimento che Pira Gavino sia il confidente? Solo dalle sue frequentazioni?». «Per diversi motivi – risponde Battistotti – perché conosceva bene Cossu, per i suoi precedenti, per l’esame dei tabulati. Cossu, poi, è sempre presente in occasione degli interrogatori di alcuni testi di questa vicenda. Il 2 novembre 2012, ad esempio, quando in commissariato a Gavoi stavano la polizia interrogava Contu e Rocca, il telefono di Cossu aggancia la cella di Gavoi-Maristiai, dove abita Gavino Pira». «Quella cella – precisa Tronci – copre diversi chilometri anche attorno a Gavoi». «Il 22 novembre 2012, poi, continua l’investigatore privato – quando ad Abbasanta vengono sentiti altri testi, il cellulare di Cossu aggancia la cella di Abbasanta». Sempre ieri, è stato sentito anche Elio Zedde, amico di Francesco Rocca, e , che hanno confermato come Rocca, spesso, lasciasse la sua auto fuori dal garage anche la sera, perché dopocena faceva un salto al bar. Per l’accusa, la presenza dell’auto fuori dal garage, la sera dell’omicidio, provava che Rocca già sapesse cosa avrebbe trovato al suo interno.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
L’iniziativa

Il porcetto sardo in corsa per la denominazione Igp

Le nostre iniziative