La Nuova Sardegna

Olbia

La crisi e troppi balzelli: gli yacht in fuga dai porti

di Luca Rojch
La crisi e troppi balzelli: gli yacht in fuga dai porti

Olbia, crollano le presenze delle imbarcazioni in banchina: cali dal 20 al 40 per cento. Le manovre del governo e la recessione internazionale svuotano gli scali dell’isola

19 agosto 2012
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OLBIA. In banchina si sente solo il monotono schiantarsi delle onde e un silenzio malinconico. Come in un quadro senza soggetto, nell’istantanea che cattura l’immagine dei porti dell’isola manca un elemento. Le barche. Scomparse, estinte, affondate dall’anno più nero per la nautica nell’isola. Come una tempesta perfetta che si è abbattuta tra i moli turistici del nord Sardegna. Il 2012 segna la grande fuga dai porti. I gigayacht scivolano solo tra le acque milionarie di Porto Cervo. Negli altri scali il calo delle imbarcazioni va dal 30 al 40 per cento. Scomparsi gli scafi sotto i 10 metri. Decimati dalla crisi. Ma sono diventate rare anche le barche fino a 20 metri, vittime della cacciata dei cumenda. Del piccolo industriale che la barca l’ha comprata con qualche sacrificio e l’ha intestata alla società per ragioni fiscali. Il governo ha messo fuorilegge da un giorno all’altro le imbarcazioni registrate a nome della società e utilizzate dal proprietario dell’impresa. In un attimo il piccolo prodigio contabile è stato affondato. L’effetto è simile a uno sfollagente. Gli scafi italiani hanno fatto rotta all'estero. Qualche mese prima, a dicembre, il governo Monti aveva anticipato l’idea di creare una tassa di stazionamento che avrebbero dovuto pagare italiani e stranieri. L’annuncio ha tagliato fuori l’Italia dalle rotte dei grandi charter internazionali. A questo si deve aggiungere la distanza antropologica tra i proprietari delle barche e chi al timone non ci sta. Per molti turisti galleggianti diventa difficile accettare il moltiplicarsi dei controlli. In mare ci sono la capitaneria di porto, la guardia di finanza, la polizia locale, la polizia di Stato, i carabinieri, e anche il corpo forestale, che per il turista straniero digiuno delle leggi e delle competenze italiane suona un po’ come trovare un posto di blocco della marina in cima allo Stelvio. E con timidezza e a volte un po’ di imbarazzo molti direttori dei porti riportano le lamentele dei loro clienti.

È chiaro che alla base della fuga dai porti ci sia la grande crisi economica. «Per noi è un anno molto negativo – dice il direttore della marina di Portisco, Massimo Baldassarri –. Il calo è del 40 per cento. Una cosa incredibile. L’anno scorso avevamo registrato il record di fatturato. Le barche fino a 10 metri sono scomparse, quelle fino a 20 metri quasi. Non abbiamo cambiato listino prezzi, ma le banchine restano vuote. Anche i proprietari dei posti barca non sono venuti. Una situazione mai vista che è il risultato di una serie di fattori. Dall’annuncio sciagurato del governo della tassa di stazionamento, ai controlli troppo invasivi, al redditometro, alla crisi internazionale». Anche Porto Rotondo ha sentito gli effetti della crisi. «Registriamo un calo – dice il direttore della Marina Giacomo Pileri –. Anche se ci salviamo con gli stranieri. Gli italiani sono scomparsi, un po’ spaventati dalla stretta fiscale, un po’ piegati dalla crisi. Si è creato un clima complicato in cui ci sono tanti controlli da parte delle forze dell’ordine. Nessuno fraintenda, ben vengano, ma spesso dover mostrare i documenti sei volte in un’unica uscita in barca può rivelarsi stressante per chi è in vacanza. Non lancio accuse, mi limito a riportare i disagi che segnalano i nostri clienti. Ma le ragioni di questa fuga sono tante. Per esempio con l’annuncio da parte del governo della tassa di stazionamento fatta in inverno i charter hanno scelto altre rotte. Fattori che hanno portato a un calo del 20 per cento sulle presenze globali e del 40 tra le piccole imbarcazioni».

Un caso a parte è il terzo porto di città. La Marina di Olbia, gestita dalla Moys da un anno. «Noi non abbiamo termini di paragone – spiega il direttore della Marina, Pierluigi Ticca –. Siamo un porto atipico. Lavoriamo molto in inverno. La posizione del nostro approdo, molto protetto in fondo al golfo, ci privilegia. In estate dobbiamo ancora valutare il nostro potenziale. Un calo c’è come in tutti i porti dell’isola, ma attendiamo la fine della stagione per fare i conti».

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