La Nuova Sardegna

Olbia

Si riapre la partita su Guardia del Moro

di Piero Mannironi
Si riapre la partita su Guardia del Moro

Servitù militari, la Difesa chiede il rinnovo per altri cinque anni dei vincoli sul gigantesco deposito sotterraneo nell’isola di Santo Stefano nell’arcipelago della Maddalena

17 maggio 2013
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LA MADDALENA. Si riaprono i giochi per Guardia del Moro. La servitù militare, che ha finora nascosto i segreti del gigantesco sistema di gallerie nell'isola di Santo Stefano, è infatti in scadenza. E i delegati della Regione nel Comitato misto paritetico sulle servitù militari (Comipa) hanno fatto già capire, nella riunione dell'8 maggio scorso, di non essere d'accordo sul rinnovo del vincolo sul deposito di munizioni. O meglio, nessun parere in bianco senza prima avere verificato quanto sia credibile la dichiarata necessità delle autorità militari di mantenere nel cuore del parco della Maddalena quell'immenso deposito di armi e munizioni. Forse anche per ammorbidire la posizione di rigidità manifestata dal Comipa sul programma di esercitazioni nei poligoni sardi e le sperimentazioni sul programma Tuav-Shadow 200, i militari hanno subito accondisceso ad effettuare un sopralluogo a Guardia del Moro. E così ieri i delegati regionali del Comitato paritetico, insieme al sindaco della Maddalena Angelo Comiti, hanno incontrato la delegazione militare in quel tratto dell’isola di Santo Stefano che per decenni ha ospitato la base per sommergibili nucleari della Us Navy. .

«Abbiamo effettuato il sopralluogo programmato - ha detto ieri Gianni Aramu, membro storico del Comipa -, ma non abbiamo saputo nulla di quali armi siano oggi stoccate a Guardia del Moro. Adesso faremo le nostre valutazioni e poi riferiremo il nostro parere sul rinnovo della servitù nella riunione fissata a Cagliari per lunedì prossimo».

Al vertice era presente anche il sindaco della Maddalena Angelo Comiti che per anni si è battuto contro la servitù di Guardia del Moro. Anche con le carte bollate. E anche con successo perché i giudici del Tar, il 27 febbraio dello scorso anno, hanno accolto il ricorso del Comune della Maddalena e annullato il provvedimento che imponeva un nuovo vincolo sul superdeposito. Ma due mesi dopo la sentenza è stata congelata dal Consiglio di Stato, che ha sospeso l'esecutività del pronunciamento di primo grado fino alla trattazione del giudizio di merito.

Quello di ieri è stato un momento rituale, certo. Ma è stata anche un'occasione importante per tentare di verificare cosa sia realmente oggi quel deposito scavato nel cuore di granito di Santo Stefano negli anni Ottanta con i dollari dello Zio Sam. Probabilmente per ospitare armamenti come i missili Cruise Slcm Tomahawk, i Terrier, i Tartar e i Subroc. Tutti capaci di essere armati con ordigni nucleari. D'altra parte, cosa poteva giustificare la spesa di decine di milioni di dollari per scavare chilometri di gallerie sotto cento metri di roccia se non la creazione di un sarcofago nel quale stoccare i micidiali ordigni con i quali dovevano essere armati i sottomarini atomici della classe Los Angeles?

Ma oggi gli americani non ci sono più. Eppure, con ostinazione, la Difesa continua a sostenere che Guardia del Moro è fondamentale per il sistema difensivo nazionale. Il perché, però, non lo ha spiegato neppure l'allora capo di stato maggiore della Marina, l'ammiraglio Paolo La Rosa, davanti alla Commissione Difesa della Camera, il 13 dicembre 2006 quando parlò genericamente di «rilevanti interessi militari sottesi». Il numero uno della Marina, in quell’occasione, parlò anche di «concentrazione strategica» della flotta in «tre aree geografiche»: Taranto, La Spezia e Augusta. In questo quadro Guardia del Moro appare così una incomprensibile anomalia. Il naviglio militare dovrebbe infatti percorrere centinaia di miglia per arrivare nell'arcipelago e caricare missili e munizioni. A meno che non diventi sistema l'inquietante modalità di trasporto adottata due anni fa per trasferire da Guardia del Moro parte dell'arsenale sequestrato nel 1994 all'oligarca Zhukov prima nella Penisola e poi, probabilmente, in Libia. E cioè utilizzare i traghetti passeggeri.

La verità è che le ragioni in base alle quali la Difesa ha finora voluto perpetuare la servitù militare sul deposito sottoroccia di Guardia del Moro non sono mai state spiegate. Il 14 marzo del 2009, il Consiglio dei ministri, davanti al quale si doveva trattare l'appello della Regione Sardegna (firmato da Soru) contro il rinnovo della servitù militare a Santo Stefano, non degnò il governatore Ugo Cappellacci neppure di una spiegazione formale. Venne infatti liquidato frettolosamente così: «La servitù deve essere mantenuta per i rilevanti interessi militari sottesi». Quali? Cappellacci non lo chiese e nessuno glielo disse. Lui si giustificò così: «Era una pratica già istruita, ho potuto solo prenderne atto».

Ostinazione incomprensibile, quella della Difesa. Anche perché qualche anno prima Guardia del Moro non interessava tanto gli alti papaveri della Marina. Infatti, in un documento riservato della Us Navy, in codice R.g.i.s., filtrato nel 2005 dal Comusnaveur (il comando della Us Navy per l'Europa), risulta che lo stato maggiore italiano (Italian defence general staff) aveva offerto nel marzo del 2003 Guardia del Moro alla Us Navy. È evidente che, se lo si offriva a Washington, non era poi tanto fondamentale per le esigenze della nostra Marina.

Ma c’è di più: qualche anno prima, nel 2003, il generale Carlo Jean, nominato commissario straordinario per lo smaltimento delle scorie nucleari, aveva pensato di accumulare la tutta la “spazzatura radioattiva” italiana proprio nelle grotte di Guardia del Moro. Lo ammise in un’intervista al Corriere della Sera l'11 dicembre di quell’anno, dopo essere stato “licenziato” da Berlusconi: «Per il deposito delle scorie avevamo pensato alla Sardegna nord-orientale».

Negli anni Ottanta la famiglia Serra, proprietaria di Santo Stefano, aprì un contenzioso con il ministero della Difesa per l'isola "scippata" nell'«interesse superiore della Nazione». Ebbene, il tribunale di Cagliari nominò un perito per fare una valutazione dei terreni sottoposti a servitù. Nel 1988, il tecnico dei giudici attribuì ai terreni lungo la costa di Santo Stefano il valore di 40mila lire al metro quadro e 20mila lire per gli altri. Calcolatrice alla mano, si arrivò a una somma molto vicina ai 13 miliardi di lire di allora. Quella cifra, secondo la rivalutazione dei coefficienti Istat, nel 2007 corrispondeva a 12 milioni 781 mila 326 euro.Tutto inutile: non ci fu l’esproprio e la Difesa ha liquidato alla famiglia Serra e al Comune della Maddalena, a titolo di indennizzo, l’«astronomica» somma di 893 euro per il quinquennio 2007-2011.

Niente di strano: a Santo Stefano tutto è possibile e può benissimo applicarsi la fulminante battuta che lo statista inglese Winston Churchill fece sulla storia russa: «Si tratta di un indovinello, avvolto in un mistero all'interno di un enigma». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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