La Nuova Sardegna

Olbia

«La poesia gallurese c’è e non si sente inferiore»

di Paolo Ardovino
«La poesia gallurese c’è e non si sente inferiore»

Il presidente Andrea Columbano fa il punto sullo stato di salute del settore  «Nei concorsi ci facciamo sentire». Sfida di ottave con il “terranoese” Serra

04 gennaio 2022
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OLBIA. I tempi in cui i poeti venivano riconosciuti dalla voce, durante le seguitissime dispute in piazza, sono lontani. Oggi i poeti sono più nascosti «ma ci sono». È stimato che in tutta l’isola «ci siano almeno 250-300 poeti in limba, più tanti altri che scrivono per se stessi e non hanno mai pubblicato», spiega Andrea Columbano, poeta e studioso. Quelli galluresi si fermano a qualche decina. Ma la poesia gallurese oggi è in crisi? «Non proprio – risponde Columbano – anche grazie ai concorsi riusciamo a farci sentire e senza complessi di inferiorità rispetto al logudorese. Per il resto, ci si lamenta sempre di come tutto stia andando a morire, ma ragionandoci su credo sia prima di tutto colpa nostra, non abbiamo la capacità di comunicare all'esterno».

In Gallura. Columbano è presidente dell’associazione Poeti galluresi e poeta. Ha preso in mano la penna forse un po’ tardi, appena dieci anni fa, ma da quel momento non ha mai smesso di scrivere. Nel suo studio, conserva gelosamente in cartelle fisiche e virtuali le oltre ottocento poesie sin qui composte. «L’ultimo anno è stato particolarmente buono», commenta. Sì, perché ha ricevuto diversi riconoscimenti. Primo posto al concorso Mamoiada, primo posto al concorso di Tonara, medaglia d’argento al premio di letteratura sarda di Ozieri, terzo posto a Ittireddu, targa Quilichini a Lungoni, menzione speciale al premio letterario di Olbia. È attraverso i concorsi dedicati alla poesia – i più illustri e storici sono nel Logudoro – che la poesia sarda e nelle sue varianti resiste. «Dopo qualche premio c’è chi è venuto a trovarmi, incuriosito e per saperne di più sulla poesia – dice Columbano – e alla fine penso sia questo il risultato più grande. I premi permettono di esserci, di sentirsi all’interno di un gruppo, quello dei poeti, che non è in declino come si pensa. Certo, se si parla di poesia gallurese il gruppo è più piccolo, ma la nostra poesia continua a vivere». Di più: fino a poco fa mancava un autore che scrivesse in olbiese, in «terranoese, che è una variante del logudorese. Ora c’è, si chiama Antonello Serra, insieme abbiamo perfezionato metrica e lessico, ci alleniamo facendo delle dispute» alla vecchia maniera. Si danno un tema e si sfidano a colpi di ottave. Uno in gallurese, l’altro in olbiese.

Poesia in musica. Questa è la risposta diretta. La risposta indiretta è che la strada che più di tutte può esaltare i versi della Gallura è la musica. Columbano per primo abitualmente mette sullo spartito i propri componimenti, insieme a Luigino Cossu e Pino Ambrosio. La musica è chiave di volta anche in senso verticale, di generazione in generazione. L’esempio più trainante è Paolo Angeli, musicista di Palau ma di respiro internazionale – figlio di Gigi, poeta pluripremiato. Due anni fa, in un album sperimentale ha saputo incastonare le note dei Radiohead e i versi di Don Baignu Pes, il leggendario prete-poeta tempiese del ‘700. Avanguardia pura. E ancora, nel suo ultimo disco ha proposto al fianco del canto barbaricino, molto più noto oltremare, le vocalità della poesia cantata gallurese. Qualcosa di inedito. «Il gallurese ha una grande forza espressiva e musicale – conclude Columbano – e dobbiamo riscoprirla, non ha pari con nessun altro idioma dell'isola».

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