La Nuova Sardegna

Oristano

Sesso proibito, processo da rifare

di Enrico Carta
Sesso proibito, processo da rifare

Abbasanta, accuse a un trentenne per i rapporti con una ragazzina di tredici anni

16 maggio 2012
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ABBASANTA. Sembrava si fosse ad un passo dalla sentenza. Invece la storia del processo che vede imputato un trentenne che aveva rapporti sessuali con una ragazzina di appena tredici anni ripartirà quasi da capo. Succede tutto dopo che il pubblico ministero Armando Mammone aveva già chiesto la condanna a sei anni per l’imputato e che la difesa aveva fatto notare che il processo non poteva essere celebrato perché il reato contestato è perseguibile solo se la parte offesa sporge una querela.

Il pubblico ministero Diana Lecca, che aveva seguito l’intera inchiesta, aveva infatti contestato il reato di aver compiuto atti sessuali con un minorenne consenziente, con l’aggravante che la ragazzina aveva meno di quattordici anni. Questo recitava il capo d’imputazione per cui era stato richiesto il rinvio a giudizio, ma sin dalla fase in cui fu effettuato l’incidente probatorio le accuse erano le medesime e ben chiare. Il giudice Francesco Alterio era lo stesso di fronte al quale ieri si è celebrato il rito abbreviato che era stato richiesto dagli avvocati difensori Luigi Greco e Carlo Figus.

In aula la pubblica accusa ha ripercorso la storia di un amore proibito in tutti i sensi, soprattutto dalla legge che vieta che una persona che abbia compiuto la maggiore età abbia rapporti sessuali con minorenni al di sotto dei quattordici anni. E che questi siano consenzienti o meno è comunque un reato. L’esito dell’incidente probatorio nel quale era stata sentita la ragazzina che aveva spiegato in aula com’era nato quell’amore proibito aveva rafforzato le tesi dell’accusa che alla fine della requisitoria è arrivata a chiedere sei anni per l’imputato, facendosi forte anche del sostegno dell’avvocato Dora Piras che tutela i genitori della ragazzina che si sono costituiti parte civile. Per ciascuno di loro ha chiesto un risarcimento di 120mila euro.

La difesa, pur contestando in parte la versione dei fatti, ha invece battuto su un tasto procedurale. Il reato di cui era stato chiamato a rispondere il trentenne è perseguibile esclusivamente nel caso ci sia la denuncia della parte offesa. È stato dopo un’ora e mezzo di camera di consiglio che il giudice ha deciso di non pronunciare la sentenza che con tutta probabilità sarebbe stata a quel punto di non luogo a procedere. Ha invece rimesso gli atti a disposizione della procura affinché riesamini il caso e contesti un nuovo capo d’imputazione indicando che, probabilmente, c’è stato ben più di un rapporto sessuale tra due persone consenzienti, sebbene in questo caso vietato dalla legge. Non è impossibile quindi che si tornerà in aula con l’accusa di violenza sessuale.

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