La Nuova Sardegna

Oristano

Uccise la compagna dopo una lite in casa, condannato a 28 anni

di Enrico Carta
Uccise la compagna dopo una lite in casa, condannato a 28 anni

Il pescatore Renzo Brundu ammazzò Katia Riva un anno fa colpendola per quattro volte con un coltello preso in cucina

19 luglio 2012
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CABRAS. Ci vogliono due ore per decidere che gli anni da passare in carcere devono essere ventotto. Due in meno rispetto alle richieste del pubblico ministero. Per Renzo Brundu, il pescatore di 50 anni che il 10 luglio di un anno fa uccise a coltellate la compagna Katia Riva (39 anni), l’attesa dietro le sbarre sarà quindi lunghissima. Non è arrivato quello sconto di pena nel quale sperava e, con la rassegnazione e la consapevolezza che lo accompagnano sin dall’istante successivo al delitto avvenuto tra le mura di via Regina Margherita, ha lasciato l’aula della corte d’Assise di Cagliari.

Si chiude così in un anno esatto una delle pagine più tristi della cronaca cabrarese. Era la mattina del 10 luglio di un anno fa, quando l’ennesimo litigio tra i due compagni ebbe una fine inattesa. Sino ad allora Renzo Brundu era stato oltremodo paziente, ma in quell’occasione varcò quel confine dal quale un’intera famiglia non avrebbe potuto più fare ritorno. Brandì il coltello e, dopo una prima involontaria ferita, colpì altre tre volte Katia Riva. Fendenti che ne causarono la morte in pochissimo tempo.

Renzo Brundu non negò mai, né tentò di mascherare tracce dell’omicidio. Ma per il pubblico ministero Rossella Spano né il suo comportamento successivo né il carattere difficile e incostante di Katia Riva potevano giustificare una tale violenza. Era lo stesso discorso ripreso dagli avvocati di parte civile, Federico Ibba, Irene Dore e Pier Luigi Concas che ieri ha concluso le arringhe sottolineando come la furia omicida si sia scatenata proprio tra le mura domestiche.

Assieme alla condanna la Corte presieduta dal giudice Claudio Gatti (a latere Ermengarda Ferrarese) ha deciso anche i risarcimenti alle parti civili. Ai due figli della coppia andranno 400mila euro per ciascuno a fronte del 750mila richiesti; a Romana Bugini, madre di Katia Riva ne spetteranno 150mila a fronte dei 150mila richiesti; a Simona, sorella gemella della vittima, ne andranno 40mila.

Tutto ovviamente resta in sospeso, in attesa della sentenza della Corte d’appello che sarà certamente chiamata a riesaminare il caso. Non c’è dubbio che sarà così, perché l’avvocato difensore Cristina Puddu l’ha preannunciato al termine dell’udienza. Lo farà seguendo il solco che ha tracciato in quest’anno di indagini e di processo e sottolineando, ancora una volta, come quella di Renzo Brundu fu una reazione creata dall’esasperante condotta della compagna.

L’avvocato difensore ha preso ad esempio proprio le parole dei testimoni dell’accusa. Tutti hanno descritto la donna come una persona dal carattere difficile, a volte anche prevaricatore. Le liti in casa, in tutti questi anni, sarebbero state costanti e Renzo Brundu avrebbe perennemente tentato di riportare il clima alla giusta serenità. Solo dopo tanto tempo avrebbe ceduto ad un impeto d’ira che in pochi secondi avrebbe cancellato tutto.

La differenza sta tutta nel riconoscimento delle attenuanti derivate dalla provocazione. La difesa chiedeva che venissero riconosciute così da avere una pena decisamente inferiore – attorno ai vent’anni –. Così non è stato. La Corte ha deciso altrimenti. Ha scelto che quella violenza spropositata per il futile motivo da cui fu generata la lite – una discussione sul giocattolo di uno dei due figlioletti della coppia – non meritasse attenuanti. Si passati da trenta a ventotto anni, ma cambia poco. Quel delitto, per i giudici e per la giuria popolare, meritava la massima severità. E la sentenza non lascia dubbi.

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