Video
«Non cancelliamo la storia recente del vecchio carcere»
Lo studioso Ivo Fenu propone che l’eventuale recupero non miri solo a riportare alla luce i resti dell’antica reggia
ORISTANO. E se tutti si fermassero a riflettere? Siamo davvero sicuri che il futuro migliore per il carcere di piazza Manno sia quello di recuperare quel che resta dell’antica e originaria reggia giudicale? Ma quanto di quella che fu la casa degli Arborea è ancora recuperabile dietro i molteplici restauri a cui il palazzo è stato sottoposto dalla sua nascita?
Se i politici si affannano a chiedere che l’edificio diventi proprietà dell’amministrazione comunale, in pochi hanno forse idea di che tipo di patrimonio culturale si andrebbe a recuperare. Così, prima voce fuori dal coro, lo studioso Ivo Fenu lancia quella che più che una provocazione a più d’uno è apparsa immediatamente come una proposta seria. Il recupero della reggia giudicale, viste le condizioni dell’edificio e le trasformazioni molteplici che ha subito, è praticamente impossibile. Restano tracce di quello che fu il palazzo medievale degli Arborea, ma in un palazzo così ampio sono davvero poca cosa. Certamente sono interessantissime per studiosi e appassionati, ma pensare che l’antica reggia possa vivere nuova vita grazie a quel poco che resta dell’epopea giudicale è davvero troppo.
«A parte i vincoli che ci possono essere, l’edificio ha un valore altissimo anche come carcere e per la storia recente che si porta appresso. Non penso sia possibile né corretto restituire alla città una parte del palazzo giudicale e del castello, per una possibile ricostruzione storica della città medievale. Siamo al solito mix di provincialismo e miopia culturale e purtroppo qui ci scontriamo con la dimensione nostalgica di Oristano – spiega Ivo Fenu –. La storia più recente dell’edificio è certamente più pregnante. La mia proposta è quella di farne un monumento e una testimonianza a suo modo unica, perché anche i muri di un carcere parlano».
Lo possono fare, in questo senso, le scritte lasciate dai detenuti, le sbarre delle celle, gli spazi angusti di quella che è stata, sino a poche settimane fa, una prigione. «Da insegnante immagino i ragazzi visitare questa struttura, un non luogo da far vivere con iniziative legate alla contemporaneità e alle sue peculiarità contaminative dei linguaggi dell’arte e del teatro, altro che medioevo».
E qui scatta l’attacco più deciso a chi vuole il recupero integrale: «Mi chiedo anche dal punto di vista turistico che valore possa avere un palazzo con alcuni elementi gotici. Dovrebbero venire dalla Toscana per vedere un arco? Ne hanno in ogni angolo e allora la priorità è la storia recente dell’edificio che è stato un luogo di pena ed è da valorizzare con le sue peculiarità».
Prima di far breccia sui politici – in ogni caso il vecchio carcere di piazza Manno è ora in mano al Demanio che non sembra granché interessato alle sue sorti prossime –, gli studiosi si interrogano. Il direttore dell’Istar, Giampaolo Mele, è prudente: «Prima bisogna valutare bene la strategia da adottare – spiega il professore –. Le decisioni frettolose non sono mai buone, bisogna al contrario ponderare bene le potenzialità dell’edificio per evitare errori come quelli commessi quando fu abbattuta Porta Mari. I restauri conservativi permettono di tenere vive componenti di vari periodi».
Più giovane, ma a sua volta esperto di storia oristanese, è lo studioso Maurizio Casu: «Secondo me è corretto far rivivere quel che resta del periodo medioevale, perché ci sono sicuramente elementi antichi e di altissima importanza, ma certamente non si può ignorare la storia successiva a quella del periodo giudicale. Al di là di tutto l’importante è non far morire un edificio di questa importanza». Che per ora è blindato, manco fosse un carcere impenetrabile.