La Nuova Sardegna

Oristano

I volontari e gli aiuti che tanti rifiutavano

di Caterina Cossu
I volontari e gli aiuti che tanti rifiutavano

Sino a venerdì molte persone non volevano accettare i soccorsi Intanto tornano a casa quasi tutti gli sfollati nei vari paesi dell’Oristanese

24 novembre 2013
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URAS. «Alla fine, in alcune case siamo entrati di prepotenza per portare almeno viveri e acqua». Franca Farris fa parte della Protezione civile da tanti anni. Lunedì mattina era a Cagliari per una visita medica e si è precipitata a Uras senza nemmeno leggere il referto. «Siamo qui dal primo minuto, è molto dura ma avevamo il dovere di fare il meglio per salvare le persone e ora non dobbiamo mollare, perché serve tutto», dice.

Soccorrere può essere compito assai arduo, in alcuni casi. L’orgoglio, la vergogna, il senso del pudore di volercela fare comunque da soli è prevalso in molti casi, rendendo vita non facile ai soccorritori. Così è capitato anche a Uras nelle zone di San Salvatore e Sant’Antonio, le più colpite dalla piena. Soprattutto all'entrata del paese, dove i marciapiedi sono a strapiombo e gli scantinati si trovano un metro sotto il livello dell'argine, qualcuno si è addirittura barricato in casa. Tanti sono stati poi coloro che non hanno voluto chiedere aiuto.

«Ancora venerdì mattina qualcuno era in casa a cercare di pulire da solo, oppure non aveva da mangiare ma non ha chiamato nessuno – racconta la volontaria –. Per questo, abbiamo fatto scattare il piano B, ovvero il porta a porta». Da venerdì mattina il metodo è stato applicato con regolarità. Un gruppo di volontari fa il giro per stilare l’elenco, poi arrivano gli altri. Nel carico di aiuti c’è di tutto, dagli strumenti per pulire, come scope e detersivi al vestiario, dai materassi ai pasti caldi. Perfino il sostegno morale non è trascurato, cosa molto importante in momenti come questi, dove la crisi isterica è in agguato senza preavvisi. «Magari a qualcuno è sembrato che non fossimo in numero e forza sufficienti, ma era perché molti di noi sono arrivati anche senza divisa, ma da subito abbiamo messo le mani nel fango», assicura ancora Franca Farris. E a vedere come vanno avanti a ritmi serrati gli smistamenti nella palestra, non c’è da darle torto.

«Divisa o no, associazioni o no, siamo una quantità enorme di volontari e nessuno si è tirato indietro da qualsiasi compito o da turni anche di 24 ore filate. Sono giorni di grande dolore, ma anche di grande speranza perché l’amore per la nostra terra è palpabile», conclude. Intanto, gli sfollati si aggiustano come possono. A Uras ieri hanno dormito in palestra sei persone di due famiglie, mentre altri 113 restano a casa di amici o parenti.

La vicina Terralba non se la passa meglio. Dove l’acqua non c’è più, restano 98 sfollati che hanno trovato accoglienza da amici e parenti e tre persone che invece alloggiano in un bed and breakfast. Il Comune accetta solo volontari qualificati, a causa del grosso problema di lesioni e danni strutturali agli edifici. Sono i benvenuti quindi muratori, elettricisti e ingegneri per le stime.

Palmas Arborea fa i conti con 36 chilometri quadrati di terreni agricoli devastati, 40 metri di argine distrutto e le strade di San Quirico completamente da rimettere a posto. A Tiria, il depuratore è stato ripristinato da Abbanoa e sono tornati a casa gli evacuati di sette abitazioni.

A Solarussa, dopo la verifica degli impianti delle case private, si stanno ultimando quelle dell’illuminazione pubblica. Nessuno dei 300 sfollati ha dormito in strutture di assistenza. In 80 sono tornati a casa, mentre gli altri sono spiti di parenti e amici.

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