La Nuova Sardegna

Oristano

Cabras è un’incognita e trovare i Giganti diventa un problema

di Simonetta Selloni
Cabras è un’incognita e trovare i Giganti diventa un problema

Nella strada più trafficata dell’isola non ci sono cartelli. E nel museo civico neanche una brochure su Monte Prama

29 marzo 2014
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INVIATO A CABRAS. Cabras è un non-luogo nella geografia della Statale 131. Nella marcia di avvicinamento alla patria dei Giganti di Monte Prama, solo considerando gli ultimi cinquanta chilometri – provenienza Sassari –, non c’è un-cartello-uno che segnali la cittadina lagunare.

Bisogna arrivare all’ingresso di Oristano, sotto il ponte dove si trova lo svincolo per Torregrande, per vedere il primo. E si resta grandemente delusi, sempre per rimanere sullo stesso percorso, se ci si attende che un cartellone, un manifesto pubblicitario, o almeno una foto a scelta tra pugilatori, arcieri e guerrieri, faccia capolino lungo la strada più trafficata dell’isola per dire: siamo qui, siamo a casa, ci trovate al Museo civico Marongiu di Cabras. Siamo sei su 25, ma almeno noi ci siamo. Belli belli: se proprio insistete, gli altri li trovate al Museo archeologico nazionale di Cagliari. E invece.

Cartellonistica assente. E invece, il nulla. Pubblicitariamente parlando, si intende. Da Ghilarza in giù, nell’ordine, si incontrano i cartelloni di Casa Gramsci, Losa – con annesso punto ristoro –, il tour dei nuraghi di Morgongiori, il museo del Territorio di Villanovaforru, le terme di Sardara, la chiesa di San Paolo a Milis, Santa Sofia a San Vero, Nostra Signora di Bonacattu a Bonarcado. E, ovviamente, Santa Cristina di Paulilatino. Per trovare il primo segnale di Tharros – ma senza alcuna precisazione, si deve arrivare a sei chilometri da Oristano.

Sui cartelloni che indicano la presenza dei Giganti ci si imbatte a Cabras. Lì, ci sono: vicino al Museo, un po’ più lontano, assieme ad alcuni manifesti che pubblicizzano Tharros, che fa peraltro parte del sistema museale della cittadina lagunare. Le cui visite sono gestite dalla cooperativa Penisola del Sinis, la stessa che di occupa del Museo. Ma se non ci si viene apposta, certamente non se ne trova indicazione. Eppure, già nel 2009 (giuntaSoru) c’era un impegno della Regione per rivedere la cartellonistica turistica-archeologica. Non se ne è fatto niente, nemmeno con la successiva giunta Cappellacci. Ora tocca alla giunta Pigliaru.

Il Museo. Questo Museo si candida a diventare uno dei siti storici e archeologici più importanti della Sardegna, ma in realtà la portata culturale dei Giganti dovrebbe collocarlo in un contesto turistico internazionale. Già ospita importanti reperti provenienti da Cuccuru is Arrius, testimonianze della millenaria storia dell’isola; ora ha la sua Sala delle feste.

Una saletta, in realtà: i sei Giganti sono stretti l’un l’altro, quasi sparuti senza i loro compagni. Sono celebrità: e ieri mattina ad ammirarli sono arrivate scolaresche ma anche altri visitatori. Solo nel fine settimana quattromila ingressi.

Ad accoglierli, il preparato e gentile personale della coop, ma non una brochure. Non un libro: “Stiamo lavorando, non potevamo dare alle stampe delle brochure prima dell’allestimento. E stiamo lavorando anche sul fronte della cartellonistica, il problema è che ci sono dei tempi tecnici”, dice l’assessore comunale alla Cultura Fenisia Erdas. Che sottolinea: “Abbiamo fatto i salti mortali per inaugurare la mostra nei termini previsti, e comunque prima dell’estate”.

Progetti futuri. Il fatto è che questo Museo con vista sulla laguna, molto bello ma concettualmente superato, fa i conti non solo con le brochure che non ci sono, ma con il bookshop per ora chiuso, così come il punto ristoro. Non c’è traccia di gadget, souvenir, punti interattivi se non l’unico schermo che consente di vedere tutto il corpus dei giganti e dei nuraghi, in 3d. E il preparatissimo personale che accompagna la visita, da solo deve compensare e catturare l’attenzione dei visitatori.

Un problema quando ci si trova davanti ai bambini; la loro visita dura quindici minuti. Perchè manca il contorno, quello che dà il valore aggiunto all’esperienza. Il merchandising, sistema utilizzato in tutti i musei del mondo: al punto shop del British è un fiorire di articoli di ogni tipo, a partire dalle serissime pubblicazioni per concludere con pupazzi, penne, portachiavi, eccetera. E non risulta che Sua Maestà Britannica si sia lamentata per la commercializzazione.

È vero, come sottolinea l’assessore Erdas, che tutto è in preparazione. È che il futuribile sembra fuori luogo e fuori tempo. Ieri pioveva forte, a Cabras. Alcuni visitatori cercavano almeno un distributore automatico di caffè, al Museo. Ci sarà in futuro. Come i cartelloni lungo la 131, le brochure, il bookshop, i gadget. Quello che rende un Museo una impresa culturale e economica. Ci sarà tutto. Forse. Per ora, non c’è.

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