La Nuova Sardegna

Aragoste sarde a rischio: via al progetto per il ripopolamento

Pasquale Porcu
Aragoste sarde a rischio: via al progetto per il ripopolamento

La prima area test da settembre a Castelsardo. La sperimentazione durerà tre anni

19 agosto 2009
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CASTELSARDO. Aragoste sarde, una specie a rischio di estinzione: troppo poche e troppo piccole. Per questo l’assessore regionale all’Agricoltura, ieri mattina dai locali della Capitaneria di porto, ha lanciato l’idea delle aree di ripopolamento attivo. Una sperimentazione della durata di tre anni per dare la possibilità ai crostacei di crescere, ma soprattutto un modo per ripopolare il mare sardo, sempre più povero a causa dei crescenti consumi (ma nell’ultimo anno, per la crisi, c’è stata una leggera flessione) e di una pesca senza alcuna regola nè criterio.

Il progetto del ripopolamento del Palinurus elephas, come ha specificato Prato, avrà delle ricadute positive sull’intera vita del mare sardo, ma anche di quelli vicini, dalla Corsica al Mar Tirreno.
Aragosta, dunque. Un fatto è certo, la «regina della tavola» come è stata ribattezzata da un fortunato concorso (ideato dalla Confcommercio di Sassari e dalla Fipe) è sempre più rara. E gli esemplari sotto taglia (sotto i 9 centimetri) alimentano da tempo il mercato nero dei crostacei.
Per la Sardegna l’aragosta è un motivo di orgoglio ma anche un prodotto di eccellenza che può trainare la promozione di tutta l’enogastronomia regionale. Un po’ come la Ferrari è il simbolo di Maranello e di tutto il made in Italy. Eppure l’isola rischia di perdere il suo fiore all’occhiello.
Oggi la Regione sarda, per iniziativa dell’assessore all’Agricoltura, Andrea Prato, corre ai ripari creando delle aree di ripopolamento dell’aragosta rossa. Prima iniziativa del genere in Italia.
Proprio ieri nei locali della Capitaneria di porto di Castelsardo Prato ha firmato una convenzione tra l’agenzia regionale Argea e il Dipartimento di Biologia animale dell’Università di Cagliari, che avrà il coordinamento scientifico e operativo del progetto.

Sei Aree di ripopolamento Le aree di ripopolamento individuate sono sei: Sant’Antioco, Cabras-Marceddì, Cabras-Su Pallosu, Alghero, Castelsardo, La Caletta o San Teodoro (o comunque nella Costa Orientale comunque). A ciascuna area afferiranno un numero variabili di sub-aree che varieranno in ragione della presenza delle marinerie e delle associazioni di pescatori che aderiranno al progetto. Ciascuna area potrà racchiudere una porzione di mare di forma quadrata avente i lati di 4 chilometri circa. Dagli studi eseguiti dai biologi marini della università di Cagliari, infatti, risulta che nell’arco di dieci anni una aragosta femmina può percorrere 1,4 chilometri (più sedentari gli esemplari maschili con 0,3 chilometri di spostamento). Nelle aree di ripopolamento sarà vietato pescare. Anzi in quei tratti di mare le marinerie o le associazioni di pescatori titolari della concessione immetteranno gli esemplari pescati sottotaglia, dopo essere stati marchiati. La sperimentazione in ciascuna area durerà 3 anni. Una volta che le aragoste raggiungeranno le dimensioni ammesse dalle norme comunitarie (Regolamento CE n. 1967/2006, che prevede per la aragoste una taglia minima di 90 mm di lunghezza carapace), potranno essere ripescate. Le spese per realizzare il progetto saranno a carico della Regione che seguirà la sperimentazione attraverso i propri tecnici e Argea. Nelle stesse aree dell’Isola, potranno essere avviate attività di multifunzionalità (ristorazione, ittiturismo, pescaturismo, visite subacquee, etc,) che consentiranno ai pescatori di integrare il proprio reddito e, indirettamente, di migliorare la sorveglianza e il monitoraggio delle zone.

Un progetto che viene da lontano «Questa idea - ha detto Prato- l’ abbiamo trovata, noi l’abbiamo perfezionata e attuata».
«Proseguiamo - ha sottolineato il professor Angelo Cau, direttore del Dipartimento di Biologia animale ed Ecologia dell’Università di Cagliari - un esperimento iniziato nel 1997 sulla costa centro-occidentale (Su Pallosu) e condotto con successo in questi dieci anni. La biomassa in quella zona è aumentata di dieci volte e i pescatori della cooperativa coinvolta sono passati da un ruolo di spettatori a gestori della risorsa».

Una rivoluzione culturale Il progetto di istituzione delle Aree sensibilizzerà anche l’opinione pubblica su un verità che i pescatori conoscono molto bene: il mare non è una risorsa infinita e inesauribile. E’ semmai un bene da amministrare con molta saggezza e con l’aiuto di regole che dovranno essere rispettate con implacabile severità. Basta, dunque, con le tecniche di pesca distruttive e sì al rispetto e all’uso intelligente dei metodi naturali di ripopolamento.
«Ma attenzione- ha spiegato il professor Cau - non si creda che nelle aree di ripopolamento la pesca sia vietata in maniera assoluta. I concessionari delle aree stesse potranno prelevare le aragoste che avessero i requisiti richiesti dalle norme comunitarie. Bisogna fare, insomma, il ragionamento che si fa quando si colgono i fichi. Quelli che non si raccolgono quest’anno non potremmo certo mangiarli l’anno prossimo».

«Pensiamo - ha detto l’assessore Prato - che il ripopolamento dell’aragosta innescherà un circolo virtuoso che coinvolgerà tutta l’ittiofauna e quindi contribuirà a far tornare pescose le nostre coste, oggi gravemente depauperate. I costi del progetto, per i primi tre anni, saranno a totale carico del pubblico, poi la pesca in queste aree sarà regolamentata secondo determinate norme condivise dalle marinerie. L’intenzione è partire subito già dai primi di settembre con un’area test, che potrebbe essere quella di Castelsardo. A ruota seguiranno le altre in tutta l’Isola».
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