La Nuova Sardegna

Oliena, ergastolo per il pentito

Valeria Gianoglio
Mauro Fele
Mauro Fele

«Ero sul camion, illuminavo lo spiazzo con i fari. Non sono un assassino»

06 novembre 2009
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NUORO. Ergastolo per l’omicidio di Tiziano Cocco. Con una sola piccola concessione: nessun isolamento diurno. Assolto per il delitto di Pietrina Mastrone, perché mancano le prove. Due anni e otto giorni dopo la scoperta dei due cadaveri nel pozzo di Manasuddas, vicino a Oliena, si chiude la prima pagina di una delle vicende più tristi prodotte dalla Barbagia negli ultimi anni.

Ha appena ascoltato il gup Silvia Palmas condannarlo a una lunghissima detenzione in carcere. Senza riconoscergli neppure una sola attenuante generica che lo stesso pubblico ministero gli riconosceva. E concedergli soltanto - visto che ha scelto di essere giudicato con il rito abbreviato - la possibilità di non rimanere isolato, in cella, durante il giorno. Per il gup, insomma, Mauro Fele, non sarebbe interamente credibile come pentito. Quando, a un anno e quattro mesi dalla scoperta del duplice delitto, il giovane olianese, decide di vuotare il sacco, ai giudici e agli investigatori racconta che lui con il delitto Mastrone non c’entra proprio niente, e che, invece, a quello di Cocco ha partecipato ma solo come testimone impotente. «Non l’ho buttato io nel pozzo - ha ripetuto in sede di incidente probatorio - io ho solo illuminato la scena del delitto con i fari del camion che gli avevamo rubato. Ho partecipato alla rapina ma non l’ho ucciso io». Fin qui, sostanzialmente, il suo racconto. Che il tribunale del riesame di Sassari giudicava poco credibile perché tardivo e interessato.

Il gup che alle 16.45 di ieri ha letto la sentenza, lo ha assolto sì dal delitto Mastrone ma per la vecchia «insufficienza di prove». Non ci sono le prove, dunque, che colleghino Mauro Fele né alla morte della povera donna, né all’occultamento del suo cadavere. Il suo avvocato Pasquale Speme ne aveva infatti chiesto l’assoluzione. Altra questione, invece, per l’omicidio di Tiziano Cocco, il giovane autotrasportatore di Samassi. Per questo terribile fatto, Fele, viene condannato in pieno. Ergastolo e nessuna attenuante. In questo caso, il gup, si spinge persino più in là delle richieste del pm Daniele Rosa che aveva chiesto la condanna a 24 anni per ciascuno dei due delitti, anche perché riconosceva che in fondo, Fele, una qualche collaborazione all’inchiesta l’aveva pur data. Ergastolo, dunque. Il gup Silvia Palmas, per il delitto Cocco, mostra nei fatti di credere a Fele solo quando quest’ultimo dice di non essere stato lui a buttare nel pozzo il giovane di Samassi. Infatti ieri, per l’omicidio Cocco, lo assolve dal capo di imputazione di «occultamento di cadavere».

La sentenza di ieri - le motivazioni verranno depositate entro novanta giorni - insomma, potrebbe rivelarsi importante anche per l’altra pagina giudiziaria della vicenda Manasuddas. Il 13 novembre, infatti, in Corte d’Assise, comincerà il processo che vede imputati gli altri due rinviati a giudizio per il duplice delitto Cocco-Mastrone. Gli accusati sono gli olianesi Mario Deiana e Sebastiano Pompita. Loro, a differenza di Mauro Fele, sinora hanno scelto di non parlare. La loro posizione si definirà in udienza.

Quella di Mauro Fele, invece, almeno per il primo grado di giudizio è definita. Il suo avvocato Pasquale Speme, al termine dell’udienza, preferisce non fare alcun commento. Ma non è escluso che vi sia un ricorso in appello. Anche la parte civile, ovvero gli avvocati che rappresentano i fratelli di Pietrina Mastrone, Michele Mannironi e Angela Nanni, ieri mattina, insieme all’avvocato di parte civile per i familiari di Cocco, Massimiliano Podda, hanno dato battaglia in sede di repliche. Per loro, il racconto di Fele, anche sul delitto Mastrone, è pieno di contraddizioni.

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