La Nuova Sardegna

"Giudici, ridateci le nostre figlie"

"Giudici, ridateci le nostre figlie"

Le due sorelline tolte alla famiglia sono ora adottabili. Il padre e la madre: "Su di noi raccontate troppe bugie"

09 settembre 2010
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SASSARI. «Le assistenti sociali sono venute a prenderle martedì sera con la polizia, ma noi non siamo cattivi genitori. Giudici, restituiteci le nostre bambine». È l’accorata richiesta di aiuto di una coppia di sassaresi al tribunale per i minorenni che ha adottato nei loro confronti il provvedimento più traumatico per un padre e per una madre.

Anna e Bruno, di 33 e 51 anni, sono stati dichiarati decaduti dalla potestà genitoriale nei confronti delle figlie di due e un anno. Le bambine sono state dichiarate adottabili e sono state affidate ai Servizi sociali del Comune. Anna e Bruno sanno che le piccole si trovano in una comunità dove non possono incontrarle. Per Anna è un terribile dejà-vu.

La donna ha altri due figli di quattro e nove anni, nati da una precedente unione, che sono stati dichiarati adottabili. «Sono vittima di una suprema ingiustizia - è il suo lamento -. Sul mio conto e su quello di Bruno sono state dette troppe bugie. Non è vero che non ci occupiamo delle bambine e che io mi rifiuto di collaborare con le assistenti sociali. Le mie figlie sono tutto il mio mondo, farò l’impossibile per riabbracciarle».

La sentenza, emessa al termine di una procedura avviata nel febbraio 2009, è arrivata come un uragano nell’abitazione della coppia. Il collegio, presieduto dal giudice Antonio Minisola e composto da un altro giudice togato e due onorari, descrive un pericoloso mix di trascuratezza, di fragilità psicologiche, di incapacità dei genitori a occuparsi delle figlie. Quadro aggravato dalle difficoltà economiche, gravi nonostante la pensione di Bruno. Questa condizione, confermata dai Servizi sociali in tutte le relazioni, ha spinto i giudici a emettere un provvedimento «con effetto immediato nel superiore interesse delle bambine».

Questo dopo che nessuno dei familiari fino al quarto grado si è dichiarato disponibile a un eventuale affidamento. Anna e Bruno l’altra sera non hanno opposto resistenza agli assistenti sociali «per non traumatizzare ulteriormente le bambine». La coppia però non si riconosce nelle tre pagine della sentenza e, per lanciare il suo appello, ha aperto le porte della propria abitazione in una borgata cittadina. «Perché i giudici non sono venuti di persona a verificare se questa casa è veramente sporca, come scrivono? - hanno chiesto, mostrando le stanze povere ma decorose -. E perché non hanno ascoltato i vicini, che avrebbero raccontato che siamo buoni genitori? Il tribunale invece si è fidato ciecamente degli assistenti sociali, ma la realtà è diversa e lo dimostreremo».

Il delicatissimo caso presto sarà affrontato con un appello. La sentenza di primo grado ha colto di sorpresa anche l’avvocato Lidia Marongiu, legale della coppia. «Sono addolorata - dice -. La situazione dei miei assistiti non è mai stata tale da giustificare la decadenza della potestà genitoriale». Anche il curatore dei bambini avrebbe preferito l’adozione di alcune prescrizioni per i genitori, per aiutarli a uscire dalle difficoltà con adeguati sostegni.

«Prima di questo provvedimento, che considero abnorme - attacca l’avvocato Marongiu -, si potevano affiancare alcuni educatori ai genitori, ma anche sostenere la famiglia con aiuti economici. Sostegni materiali che invece questa coppia non ha mai avuto dai Servizi sociali». «Comunque - taglia corto l’avvocato - le condizioni di indigenza, vera o presunta che sia, non possono mai motivare la dichiarazione di adottabilità di un bambino». In attesa che il caso venga valutato da altri giudici, le sorelline restano in istituto.
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