La Nuova Sardegna

Armistizio, i pastori lasciano il Palazzo della Regione

Umberto Aime
Floris esibisce la tesi di laurea di un pastore sardo
Floris esibisce la tesi di laurea di un pastore sardo

Termina l'occupazione dei pastori del Movimento capeggiato da Felice Floris. Ora il vertice con Cappellacci a Villa Devoto. "È un armistizio, stiano attenti a non fregarci altrimenti venerdì in piazza saremo almeno ventimila"

27 ottobre 2010
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CAGLIARI. Tutti fuori, i pastori. L’occupazione è finita. Con una discesa a valle pacifica e volontaria: dall’aula della commissione bilancio al selciato di Via Roma. Da ieri il Consiglio regionale è di nuovo libero, dovrà ritornare a essere sacro. Era stato fatto prigioniero sette giorni fa, alle 16.20. Alle 13.40 di un martedì bizzarro, faticoso e incerto fra sole e pioggia, ordini e contrordini, attaccabrighe e buonsenso, il Movimento ha tirato via le tende e i sacchi a pelo.

Senza vincitori e vinti, per adesso poi si vedrà. L’importante è che sia finita. Perché ormai c’era solo voglia di tregua da una parte e dall’altra. In una settimana i pastori e la politica se la sono data di santa ragione, randellate comprese, quando in Via Roma c’erano anche i poliziotti, una settimana fa. Ieri il braccio di ferro sarebbe sciocco, inutile, da condannare quanto un accanimento terapeutico, in cui nessuno credeva più e ancora meno voleva.
È finita. Sono usciti, i Felice Floris, più nove. Dall’ingresso principale del Consiglio tra battimani, pacche sulle spalle, abbracci, baci, cori, V di vittoria al cielo e commozione dappertutto.

Tutti fuori, a cominciare dalle lacrime del leader. E se piange un capo dagli occhi nero-carbone, il pizzetto luciferino, robusto e tosto, eccome se fa notizia. Sono lacrime irresistibili, di gioia, impossibili da nascondere, nonostante due grandi mani, le sue, s’impegnino in un su e giù continuo: vorrebbero mascherare, non ce la fanno. «Felice, Felice», gli gridano dopo averlo acclamato bittesi, campidanesi, galluresi, gente della Marmilla e del Goceano. Coraggio ritrovato, dentro un libro da trecento pagine stretto al petto, metà scudo e metà trofeo. È la tesi, a La Sapienza, di un suo giovane amico pastore, nato a Lula, laureatosi a Roma. Centodieci e lode in Sociologia sulla “Storia del Movimento pastori dal Novanta ai giorni nostri”. «È uno di quei ragazzi ai quali dobbiamo permettere di far grande la Sardegna», dice Floris, dopo aver arringato la folla: «Abbiamo posto le nostre condizioni, sono state accettate. Abbiamo vinto la battaglia in trincea, vinceremo anche quella in campo aperto». E la folla risponde come sa e può: frastuono di campanacci, magliette blu sventolate e cinquanta berritte in volo.

L’occupazione è finita con i girasoli regalati a Maria, l’unica donna ancora asserragliata, all’inizio erano in due, che dice: «Sono contenta», per poi cercare con lo sguardo chi ha a tracolla il suo “portatile”. È quello su cui, nei giorni di clausura, sono piovute mail da Sassari e Olbia, dalla Toscana alla Germania, all’Australia: «Di noi ha parlato il mondo», fa sapere orgogliosa prima di essere trascinata via.

È finita, col miele - prego, è un omaggio della casa - lasciato sull’ex tavolo di battaglia da Maurizio e Marco, gli altri che occupavano. Prima che Giuseppe, Priamo, Luigi, Diego e Mauro, caricassero venti buste, quattro zainetti e il megafono sull’ultima carrucola, quella del trasloco. Deciso prima dell’ora di pranzo, quando sembrava ancora possibile un’altra notte-bivacco, dentro e fuori dal Palazzo. Sì, il rischio c’è stato, almeno fino a mezzogiorno, con i partiti del centrodestra che pretendevano uno sgombero preventivo, a priori, e soltanto dopo avrebbero accettato d’incontrare la delegazione, col centrosinistra che continuava fare il suo lavoro e a picchiare duro sulla Giunta, con una riunione dei capigruppo in cui dovevano decidere anche come spartire, in parti uguali, il merito del possibile lieto fine. La politica ha continuato a fare la politica anche nelle ore più faticose della lunga occupazione.

Mezz’ora dopo alla porta della sala-bunker hanno bussato in quattro: Claudia Lombardo, presidente del Consiglio regionale, Ugo Cappellacci, presidente della Giunta, Mario Diana per la maggioranza, Giampaolo Diana a nome dell’opposizione: «Possiamo?». Potete. In quel momento le vetrate della finestra-boccaporto, aperte su Via Porcile, si sono chiuse ed è cominciata la trattativa, l’ultima dopo gli approcci del giorno prima. È stata quella decisiva, che ha portato le istituzioni, stavolta compatte, a ottenere l’immediata liberazione del Palazzo, e il Movimento ad avere almeno sulla carta quanto chiedeva. Da oggi l’Mps avrà un tavolo di trattative riservato, «Cappellacci ci aspetta alle 10, a Villa Devoto. Ci sarete? Ci saremo». E nel frattempo ha consegnato la sua piattaforma riveduta e corretta: «È in dieci punti, dal prezzo del latte al costo del foraggio. Ci sono anche i de minimis stavolta spalmati». Sempre ieri i pastori si sono sentiti anche dire che “il Consiglio riprenderà a lavorare subito e in fretta sul disegno di legge Cappellacci-Prato, pure questo emendato, arricchito e forse persino bi-bartisan” esarebbe un altro miracolo.

È finita, alla grande. Perché ha prevalso il buonsenso, come diranno dopo le strette di mano e i giuramenti, Cappellacci, Lombardo, Diana primo e Diana secondo. «Abbiamo ristabilito le regole democratiche del confronto e da qui ripartiamo», aggiungerà il governatore in una nota rilanciata dalle agenzie. Come ripeterà poi Felice Floris, nel suo primo comizio a livello del mare dopo sette giorni di megafonate: «Pastori, pastori sardi ascoltatemi: oggi ha vinto la ragione. Gli abbiamo concesso l’armistizio, non è una resa. Non lo è perché, là dentro, alla politica abbiamo detto: attenti a non fregarci, altrimenti venerdì saremo qua sotto in ventimila. Vedrete che ci ascolteranno, a Villa Devoto».

La manifestazione numero tre non è stata una minaccia: era pronta. Alle undici quando sembrava che il dialogo dovesse saltare per questioni di principio e pretese limature, il Movimento aveva cominciato ad organizzare il corteo della passione almeno un’ora prima. Con un frenetico passa parola, capace di far subito la conta delle adesioni: sindaci, scolaresche, madri di famiglia, sorelle e fratelli, perché Noi siamo tutti pastori. Con l’annuncio finale: «La manifestazione è solo sospesa, la nostra lotta è solo sospesa, la nostra battaglia continuerà». Per cosa? «Per salvare subito i pastori dall’emergenza e poi pensare insieme al futuro».

Quale? «Quello in cui - è l’ultimo slogan - c’è una speranza per tutti. Altrimenti saranno guai e io non voglio che il mio amico pastore, laureato a La Sapienza, sia costretto ad emigrare». Oggi il presidio sarà a Villa Devoto e se l’incontro dovesse andar male? «Vorrà dire che bivaccheremo in un’altra casa, quella del presidente». Parola di Felice Floris e del Movimento.

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