La Nuova Sardegna

COMMENTI & OPINIONILa povertà cresce e genera un pericoloso circolo vizioso

Antonio Sassu *

Nell’isola un caso da manuale: per effetto del mercato le zone marginali diventano col tempo sempre più depresse

26 gennaio 2011
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L’agenzia regionale osservatorio economico ha comunicato recentemente i dati fondamentali del sistema economico della Sardegna relativi al 2010 e le previsioni per il 2011. Il divario fra la Sardegna e l’Italia, e, a maggior ragione, fra la Sardegna e le regioni del Nord, va aumentando. Nel 2010 il saggio di crescita del Pil in Sardegna è stato dello 0,73%, mentre per l’Italia dell’1,12%; per il 2011 le previsioni ricalcano questa performance, in Sardegna il Pil cresce dello 0,33%, mentre in l’Italia dello 0,78%.

Aggiunto a quello degli anni precedenti, l’attuale divario ci dice che la Sardegna va diventando relativamente più povera. Diamo uno sguardo alle statistiche sulla povertà e ne abbiamo una conferma. La Sardegna, purtroppo, guadagna posizioni. Soprattutto nel periodo fra il 2006 e il 2007 fa un grande balzo in avanti nella graduatoria delle regioni italiane.

Il problema, purtroppo, non è solo quello. Mi spiego meglio. Se il nostro mercato cresce lentamente le imprese avranno convenienza ad installarsi nei mercati che crescono di più, in cui possono vendere maggiormente i loro prodotti. Le zone periferiche, come la Sardegna, vedranno le imprese chiudere o andare via, tranne naturalmente quelle che soddisfano il mercato locale. Allora gli investimenti diminuiranno, la domanda di consumi sarà più debole, il mercato del lavoro diventerà ancora più striminzito.

Quindi, le zone più ricche diventeranno sempre più ricche, le zone più povere sempre più povere. All’inizio ci sarà un problema di disuguaglianze e di squilibri, poi, a lungo andare, un problema di povertà, non solo relativa. Questo è un processo che è stato messo in luce da valenti economisti.

Nel suo piccolo, il mercato regionale del lavoro può essere indicativo. Se esaminiamo il tasso di occupazione dal 2007 ad oggi, vediamo che esso è andato diminuendo, seppure di poco, come sta diminuendo il tasso di disoccupazione. Ciò si spiega col fatto che il tasso di attività (l’insieme degli occupati e dei disoccupati diviso il complesso della popolazione attiva), è diminuito. Il numero di coloro che trovano o vogliono trovare lavoro, cioè, poniamolo in questi termini, la dimensione del mercato del lavoro, va assottigliandosi.

Il mercato può essere dinamico in un determinato momento ed avere un tasso di occupazione crescente, ma ciò che conta nel lungo periodo è il tasso di attività, al di là del quale non c’è offerta di lavoro. Orbene, questo, da qualche anno a questa parte, va progressivamente restringendosi, nonostante ci sia una parziale crescita, soprattutto per motivi culturali, del segmento femminile che vuole entrare nel mercato del lavoro.

Questa è la tendenza. E’ necessario che a ciò ci ribelliamo, non possiamo accettare un processo che ci passa per la testa. L’esempio degli operai della Vinyls, che si battono per il loro posto di lavoro, andando contro la tendenza del mercato, è estremamente significativo. Ma ci sono altre situazioni in cui noi possiamo avere idee brillanti e venderle agli altri. Il patrimonio di identità, dai saperi locali alle bellezze naturali, può costituire altre occasioni. Come pure qualunque novità a cui gli altri non hanno pensato e che ci fanno acquisire un vantaggio comparato nella produzione di beni e di processi.

Non necessariamente il sapere deve essere radicato nel nostro Dna, è possibile produrre e vendere qualcosa di nuovo, se ci sono le conoscenze e la capacità inventiva. Comunque, non possiamo accettare passivamente ciò che gli altri ci vogliono imporre, ma è possibile reagire con nostre iniziative. Come si capisce questo dipende da noi che dobbiamo mettere a frutto le nostre abilità, accrescere la nostra formazione e le nostre capacità. Dipende anche dagli immigrati che arriveranno, dalla loro professionalità, diversità e creatività, oltre che dalla politica di integrazione. In primo luogo, però, dipende dalle nostre classi dirigenti che hanno il compito di conoscere i problemi e di dare possibili soluzioni.

* professore di Economia all'università di Cagliari
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