La Nuova Sardegna

Referendum, Segni: «Stavolta è in gioco una fetta di democrazia»

Umberto Aime
Referendum, Segni: «Stavolta è in gioco una fetta di democrazia»

Il politico che nel 1991 portò a gli italiani a votare in massa: «Non facciamoci scippare un diritto»

10 giugno 2011
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CAGLIARI. L'appello è stato bello ed efficace. Di quelli che sanno dare ancora la scossa: «Vota come vuoi, ma vai a votare. Comunque». Al di là delle quattro schede colorate e del loro contenuto, a mettere lo slogan in piazza, sono stati quelli che da sempre difendono l'incanto della democrazia diretta. E sanno bene che stavolta si giocano tutto. In una mano sola. Domenica e lunedì, per i referendum è la prova del nove, o meglio ancora un'ultima chiamata. Se non si sfonda il quorum, in quella due giorni, il rischio di una caporetto referendaria c'è ed è forte.

Mario Segni non si nasconde: «È vero. Stavolta c'è in gioco una fetta di democrazia». Il padre del referendum del 1991, quello della spallata vincente alla "preferenza unica", si ripresenta sulla platea con passione. L'ha esibita dappertutto, anche sulla Rete, perché i referendum sono pure una sua creatura e li difende con grinta.

Sul blog, ha scritto: «Domenica e lunedì, sia chiaro, bisogna andare a votare per la sopravvivenza stessa dello strumento referendario». Poi di persona aggiunge, con un'altra sottolineatura forte: «Dobbiamo fermare - dice - chi, partiti più o meno storici e politici di professione, vuole uccidere, come ha tentato già di fare, la forza genuina della volontà popolare. Vuole ucciderla, perché sa che è scomoda. La verità è una sola: il manovratore non vuole essere disturbato dal referendum, che rimane l'espressione più autentica della democrazia diretta».

Il messaggio di Segni è chiaro, «Non facciamoci scippare un nostro diritto costituzionale», ribadisce, dopo aver tirato le orecchie a quelli che da «luoghi istituzionali» lanciano appelli a favore della diserzione. «È un altro brutto esempio - dice - di come alcuni personaggi siano capaci di mettersi l'etica della politica sotto i piedi. Per questo è stato ammirevole il Capo dello Stato, nel dire che lui andrà a voltare. Gli italiani prendano esempio dalle sue parole».

È giusto, ma chi insegna diritto costituzionale all'università di Sassari, Pietro Luigi Pinna, non si sorprende per la presenza della folla del non voto: «Prima di tutto, va detto che questi appelli sono ammissibili. Certo, potremmo discutere sull'etica di metterli in piazza da parte dei rappresentanti delle istituzioni, ma comunque di per sé non sono illeciti». Nel suo discorso, il professore affronta anche un altro aspetto significativo: «I referendum non sono vergini e candidi come qualcuno vuol far credere. Da sempre incidono sulle maggioranze e sulle opposizioni, sui partiti e sul governo, e dunque la politica ci vuole mettere le mani sopra. Lo ha fatto e lo farà ancora».

Forse è per questa contaminazione che dal 1995 ad oggi, ventiquattresima volta su sessantadue referendum abrogativi, il quorum è stato un miraggio? Mario Segni ha una sua idea: «È il sistema, nelle sue diverse sfaccettature, ci metto dentro anche la Chiesa nel caso della procreazione assistita, a essersi blindato. Lo ha fatto per paura ed è per questo che lo strumento referendario continua a essere boicottato se non addirittura attaccato e demolito».

C'è di più, secondo Segni: «Se al boicottaggio, aggiungiamo il progressivo disinteresse, che purtroppo spesso tocchiamo con mano, verso un voto dove i partiti impongono tutto, compreso il nome degli eletti, è ancora più evidente perché in questi anni è stato difficile raggiungere il quorum».

C'è anche un altro aspetto negativo e ha pesato molto sul flop delle altre chiamate alle urne del voto popolare: l'abuso che è stato fatto dello strumento. Negli anni, è stato logorato fino a tal punto e anche con quesiti spesso peggiori di un test per futuri magistrati, da fiaccare persino l'elettore più fedele. E sull'effetto intolleranza Pietro Luigi Pinna svela un retroscena: «Dopo il fallimento di quelli del 1997, in molti ipotizzarono una riforma ad esempio del numero delle firme da raccogliere, mentre altri dissero di voler cancellare lo sbrarramento del quorum, ma alla fine non è stato fatto nulla. Tutto è rimasto com'era. Ed è per questo che, in punta di diritto, noi costituzionalisti oggi possiamo dire soltanto: questi referendum ci sono e questi dobbiamo tenerci».

Se non ci sono alternative, sostiene Mario Segni, domenica e lunedì va percorsa ancora la strada maestra della difesa del diritto: «In questa situazione, qualunque altro progetto punterebbe a raggiungere soltanto un obbiettivo inaccettabile, che poi è quello di spogliare il cittadino del suo vero potere reale: dire cosa pensa, quasi in diretta, delle decisioni del Palazzo».

Mario Segni, è ovvio, andrà a votare, il professor Pinna lo stesso. Con l'ex senatore che sul blog ha scritto in anticipo le sue scelte al seggio: «Un sì e tre no. Il mio sì sarà sul legittimo impedimento, perché da sempre sono contrario alle leggi ad personam». Per poi aggiungere subito, con l'affetto del buon padre di famiglia: «Sul contenuto dei quattro referendum ognuno la può pensare come vuole ma l'importante è che stavolta gli italiani vadano a votare». In difesa della democrazia, quella vera, quella diretta.

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