La Nuova Sardegna

Tre votazioni in un mese confermano che l'isola è «deberlusconizzata»

Filippo Peretti
Abbracci in piazza a Cagliari (a sinistra) e Sassari
Abbracci in piazza a Cagliari (a sinistra) e Sassari

Scenario rivoluzionato a 2 anni e mezzo dal trionfo del centrodestra alle regionali

14 giugno 2011
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CAGLIARI. Con la terza votazione nel giro di un mese, i sardi hanno deberlusconizzato la loro isola. Due anni e mezzo fa, al termine di un tour elettorale senza precedenti, il Cavaliere imperante aveva conquistato la Regione mettendola nelle mani di Ugo Cappellacci e del centrodestra. Ma ora, minati dalla stessa crisi, anche Cappellacci e il centrodestra (benché il governatore abbia cavalcato con intelligenza la battaglia antinucleare) non godono certo di buona salute politica, tra batoste nei Comuni, comparsate di franchi tiratori e minacce di dimissioni.

A quattro settimane dal referendum regionale che ha fatto registrare un 97 per cento di contrari a una centrale atomica nell'isola, i sardi sono andati persino oltre nel rispondere al quesito nazionale: il 98,4 per cento ha bocciato l'energia nucleare. Quasi identica anche l'affluenza alle urne: il 58,6 per cento, due punti circa in meno della due giorni di metà maggio. Il risultato sardo, a differenza di quanto avvenuto nelle centrali politiche romane, non ha avuto e non ha conseguenze immediate negli equilibri e nelle scelte regionali. Perché il presidente della giunta, Cappellacci, si è apertamente schierato contro il nucleare, evitando così di venire travolto. Non solo. Con mossa politicamente astuta il presidente ha lanciato proprio ieri, attraverso il Patto dei Sindaci, il progetto Sardegna Co2.0, asse portante del suo programma di green economy.

Il dibattito tra gli schieramenti si è comunque acceso, con il segretario del Pd, Silvio Lai, che ha parlato di sconfitta del centrodestra anche a livello regionale e con i dirigenti «azzurri», il coordinatore reggente Settimo Nizzi e il capogruppo Mario Diana, che hanno avuto buon gioco a replicare che nell'isola Cappellacci si è messo alla testa della battaglia unitaria contro il nucleare.

Il ruolo politico svolto da Cappellacci ha avuto influenza nel referendum regionale di maggio, sia per la campagna istituzionale sia per la scelta di abbinare la consultazione alle elezioni amministrative che egli aveva concordato con il comitato promotore guidato da Bustianu Cumpostu. Ieri il peso del presidente della Regione ha inciso meno, visto che anche sui due quesiti sull'acqua i sardi hanno votato «sì» con percentuale più o meno simili: dal 98,2 al 98,6 per cento.

È stata invece del tutto ininfluente anche in Sardegna la proposta del centrodestra di non ritirare la scheda al referendum contro il legittimo impedimento: la percentuale dei votanti è stata la stessa registrata sugli altri quesiti, i «sì» sono scesi di pochissimo visto che la percentuale si è assestata sul 96,5: un dato che sembra smentire quanti, per togliere una valenza antiberlusconiana al voto di domenica e di ieri, affermano che gli elettori del centrodestra si sono recati convintamente alle urne. La verità, in ogni caso, è che la Sardegna ha dimostrato, al pari del resto del Paese, di avere una grande voglia di cambiamento: lo hanno detto chiaramente le elezioni, a partire dai clamorosi e storici ribaltoni di Olbia e di Cagliari, e lo hanno ribadito con forza prima il referendum regionale e ora i quattro referendum nazionali. Una voglia di cambiamento che sta travolgendo l'asse Berlusconi-Bossi e che nell'isola rischia di mettere in crisi il centrodestra che governa la Regione tra mille difficoltà. Tanto che l'ipotesi delle elezioni anticipate non riguarda solo il livello nazionale, ma anche quello regionale.

Sul piano dei numeri la Sardegna ha dimostrato una compattezza straordinaria nel merito dei quesiti: le variazioni tra le circoscrizioni provinciali sono minime. Mentre c'è molta differenza nei dati sull'affluenza alle urne, che oscilla dal 64 per cento del Medio Campidano al 53,3 per cento di Olbia-Tempio.

Denso di significato, per le scelte che devono essere fatte sul caso Abbanoa, è il risultato nettissimo nei due referendum sull'acqua pubblica: un dato che esclude qualsiasi ipotesi di privatizzazione ma che sembra chiedere maggiore efficienza.

Ora hanno buon gioco i nemici di Abbanoa, a partire dal presidente della Provincia di Nuoro, Roberto Deriu, a chiedere l'acqua «pubblica» ma anche «vicina», cioé gestita a livello locale. L'esperienza di Abbanoa ha messo in crisi, forse definitivamente, il progetto ambizioso della gestione unitaria a livello regionale.

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