La Nuova Sardegna

«Selvaggina ko, noi non cacciamo più»

Alcuni componenti della compagnia di Sa Serra dopo una battuta di caccia grossa nelle campagne di Nughedu dove controllano 1500 ettari
Alcuni componenti della compagnia di Sa Serra dopo una battuta di caccia grossa nelle campagne di Nughedu dove controllano 1500 ettari

Nughedu, l'autogestita Sa Serra dichiara forfait: basta con lo sterminio di pernici e lepri

02 ottobre 2011
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NUGHEDU. «L'unanimità ha deciso: chiudiamo la riserva. La seduta è tolta». Un'alzata di mani mesta; poche parole di delusione; e gli 85 cacciatori dell'autogestita di Sa Serra, terriorio di Nughedu, uno dei mini-comuni che rischiano di cadere sotto la mannaia della Finanziaria, hanno deciso di appendere al chiodo i fucili. Ed è la terza volta nel volgere di pochi anni. «È vero, siamo tutti d'accordo. Se facciamo secca un'altra pernice rischiamo di perderle per sempre, se a tutelare la selvaggina nobile non pensano le istituzioni, lo facciamo noi», dice il presidente. Nino Sechi, 65 anni, leader indiscusso dell'autogestita, ex chimico Eni, oggi barracello, è un signore dall'aria decisa e con le idee chiare che detesta i bizantismi, non teme critiche e polemiche e veste come il Che. Per ciò parla senza paura delle lacune delle istituzioni miopi, dei cacciatori-predatori che sparano su tutto quello che si muove, dice «con quelli che rispettano le regole non hanno nulla da spartire», e anche dei barracelli «ma anche in questo caso, non faccio di ogni erba un fascio».

Per il suo carisma da 30 anni gli viene rinnovato l'incarico di presidente dell'autogestita di un'area che si estende per mille e cinquecento ettari tra dolci declivi, cespugli di essenze e pianori puliti che un tempo, come dicono i cacciatori sembravano «pitturati per le pernici», ma dove oggi scorrazzano famelici solo i cighiali che arano il terreno perchè di pernici, e lepri da queste parti se ne vedono poche, pochissime. Anzi, forse sono un miraggio come in tutta l'isola. «La responsabilità dello stato attuale della campagna sarda, non solo di Nughedu - sostiene Sechi è solo in parte di chi imbraccia il fucile - bisogna fare un passo indietro e vedere i programmi dell'Assessorato all'ambiente che decide il calendario venatorio, capire come lavora il comitato per la caccia che spesso è proteso soprattutto alla raccolta delle tessere e ad acquisire consensi politici per uno o l'altro, valutare le associazioni che contano le tessere degli iscritti e non di rado le acquistano. Ho fatto parte della Federcaccia, sono andato via perchè non venivano ascoltate le voci di tutti ma solo e sempre le stesse di signori che conoscevano le loro riserve e non sapevano nulla del territorio. E infine non scordiamo le commissioni esaminatrici che concedono l'abilitazione alla caccia». In sintesi, sembra che anche un'attività nobile come la caccia sia dopata. Partiamo dal calendario: spiega Nino Sechi «Viene fatto a tavolino da gente che forse nemmeno va in campagna, così accade, come quest'anno, che la tortora sia stata aperta quando i migratori erano già passati. Ma questo è solo un'esempio, un particolare. Possibile che non sappiano che la Sardegna è invasa dai cinghiali, dalle cornacchie, dalle volpi, dalle gazze ladre? Sono tutti animali da degrado che distruggono la selvaggina, mangiano le uova nei nidi. Trent'anni fa forse c'era maggiore attenzione e venivano pagate poche lire, giusto un simbolico valore delle cartucce, per chi portava due zampe di cornacchia o la coda di una volpe. Quello era un modo per controllare e argniare il proliferare di animali nocivi. Se oggi si aprisse al cinghiale fin dal primo giorno, i cacciatori sicuramente risparmierebbero le pernici quando vedono che la volata è povera rendendo un servizio al territorio e tornando a casa con un carniere soddisfacente». Le commissioni abilitatrici.

«L'esame sembra una formalità e invece non lo è - dice Nino Sechi - fanno smontare un fucile, mostrano due uccelli e chiedono che vengano riconosciuti. Più o meno tutto si risolve così. La cosa più importante sembra tesserare e far pagare l'assicurazione. Nessuno, precedentemente, viene formato, a nessuno viene insegnato che non si tagliano i reticolati, che devono essere rispettati i campi coltivati che si va a caccia, non in guerra. La sensazione è che l'ultima cosa che interessa sia il significato venatorio, il rispetto dell'ambiente. Il risultato è che oggi, e da anni ormai, i cacciatori sparano su tutto perchè non devono tornare a casa senza preda e per ciò si è addirittura prolungato l'orario oltre l'imbrunire». I barracelli. «Sono arrivato a questa conclusione: devono essere dotati di una carabina con sei cartucce al massimo e la sera devono restituire l'arma nella caserma dei carabinieri. Così forse non si sentirà più sparare giorno e notte». Dimenticavamo: il signor Nino Sechi, procalamando la chiusura della caccia a Sa Serra, ha precluso alla sua compagnia di sparare alle pernici e alle lepri in tutta l'isola, perchè così vuole la legge. Gli 84 confratelli non si lamentano nemmeno di questo perche «lo sceriffo», così lo chiamano «ha sempre ragione».

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