La Nuova Sardegna

Un ex detenuto e la psicologa del centro raccontano dei comportamenti con le ragazze

In aula le accuse a don Usai

Enrico Carta
Don Giovanni Usai durante la precedente udienza a sinistra la comunità per ex detenuti Il Samaritano
Don Giovanni Usai durante la precedente udienza a sinistra la comunità per ex detenuti Il Samaritano

Primi due testimoni al processo per la gestione del Samaritano

08 ottobre 2011
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 ARBOREA. Inizia don Giovanni Usai che parla di complotto. Chiudono le pesantissime parole dei testimoni. Il primo pacato sfogo è del sacerdote, accusato di favoreggiamento della prostituzione, di non aver rispettato i dettami di legge per la gestione della struttura di accogliena Il Samaritano - casa per detenuti in regime di carcerazione speciale - e di aver abusato sessualmente di una delle ospiti della struttura di Arborea.  Don Giovanni Usai legge, in apertura di udienza, un documento con le sue spontanee dichiarazioni e l'invito ai giudici affinché sia valutata in maniera giusta la sua posizione processuale.  È il primo vero atto del processo, che aveva avuto un preludio tre settimane fa, quando però ci si era limitati alle decisioni legate ad alcune eccezioni preliminari formulate dal collegio difensivo e al conferimento dell'incarico al perito che deve tradurre e trascrivere l'enorme mole di intercettazioni.  Mentre il nigeriano Gabriel Imasidou Osarhewinda, difeso dall'avvocato Daniela Schirru, sostituita in aula dall'avvocato Anna Paola Putzu, è ancora irreperibile, don Giovanni Usai e l'altro imputato nigeriano, Alphonsu Eze, non perdono una virgola dell'udienza.  Soprattutto il sacerdote accompagna con diversi sorrisi increduli alcune delle dichiarazioni dei testimoni, mentre tra il pubblico ministero Diana Lecca e gli avvocati difensori Anna Maria Uras e Carlo Figus che assistono rispettivamente il sacerdote e Alphonsus Eze - era assente l'avvocato Franco Luigi Satta - ci sono stati ripetuti scontri verbali.  Ma il fulcro del processo era un altro. Le dichiarazioni dei primi due testimoni dell'accusa sono state per certi versi pesantissime. Si capisce da subito che, almeno in un caso, la difesa ne contesti la veridicità, però per il momento sono la porta d'ingresso del processo vero e proprio.  Il primo a parlare è un ex detenuto, che negli anni passati era stato ospite del Samaritano, di cui don Giovanni Usai era il presidente. Marcello Accossu, che vi stava trascorrendo un periodo di arresti domiciliari dopo una condanna per traffico di droga, ha detto che sugli ospiti del centro incombeva la continua minaccia di far rientro in carcere. Ogni protesta per le buste paga, per il cibo, per il lavoro veniva immediatamente zittita con lo spauracchio di un ritorno dietro le sbarre.  L'ex detenuto ha poi raccontato di un episodio, durante il quale la figlioletta che era andato a trovarlo avrebbe rischiato un abuso sessuale ad opera di un altro ospite della comunità. L'ex detenuto ha spiegato che don Usai avrebbe sepolto la cosa «Perché non voleva cattiva pubblicità».  E sulla prostituzione ha invece detto: «Ho visto ragazze che aspettavano persone che arrivavano in macchina. Don Giovanni sapeva tutto perché gli veniva riferito». Così come, sempre secondo la deposizione del testimone, sapeva o addirittura avrebbe partecipato al pestaggio di un ospite col quale aveva avuto problemi.  Ovviamente alla difesa le affermazioni non sono piaciute. Gli avvocati Anna Maria Uras e Carlo Figus hanno insistito soprattutto sulla scarsa attendibilità del testimone, che proprio mentre stava scontando i domiciliari fu nuovamente arrestato perché sorpreso a spacciare proprio all'interno del Samaritano.  La seconda deposizione è quella di Pasqualina Pippia, che da psicologa lavorò ad Arborea. Sull'episodio del presunto abuso sventato ha spiegato: «Don Usai era incredulo, ci chiese di non andare oltre». Poi si parla di donne, quelle ospiti del Samaritano. «Avevano un trattamento privilegiato, erano più seguite e protette», dice la psicologa.  Ma quando il pubblico ministero incalza la testimone va oltre e racconta di aver visto dell'altro, in particolare quando don Usai era in compagnia del suo amico Antonello Carrucciu, carabiniere in pensione. «C'erano apprezzamenti e anche manate. Qualche volta anche don Usai era brillo».  La difesa ha però sottolineato che le ragazze ospiti non erano detenute e che avevano assoluta libertà di andar via dal centro, dove comunque era assai difficile tenere sotto controllo una situazione di base molto complessa. Mentre sul fatto che i cancelli del Samaritano fossero sempre aperti la testimone ha risposto: «Era la filosofia della comunità. Non dovevano sentirsi in carcere».

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