La Nuova Sardegna

Crolla la qualità della vita altre 80mila famiglie sulla soglia della povertà

Umberto Aime
Crolla la qualità della vita altre 80mila famiglie sulla soglia della povertà

Secondo il Consiglio regionale dell'economia e del lavoro, in Sardegna le famiglie povere conclamate sono 117 mila su 634 mila, altre 80 mila vivono nel pantano o stanno per soccombere alla crisi

29 ottobre 2011
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CAGLIARI. Chissà perché dal 2009 al 2010, in Sardegna, la povertà è scesa di quasi tre punti. All'Istat dicono che sia merito di qualche lavoro precario saltato fuori all'improvviso e della micro imprenditoria femminile pare cresciuta in fretta. Dunque, la povertà è diminuita, eppure non è così. Non è in atto nessun miracolo economico, non ci sono effetti da boom e non c'è ricchezza nelle case, per dare retta all'Istat, è stata la replica, secca e amara, del Consiglio regionale dell'economia e del lavoro, nel suo dossier su nuovi e vecchi poveri. Ha ragione, il Crel: basta guardarsi attorno, ascoltare il vicino e frugare nei portafogli, per capire che quel calo è soltanto una bolla statistica, gonfiata da un ottimismo irreale, incolore e insapore, come lo sono tutti i gas subdoli.

Tutti sanno che è vero il contrario. Oggi va molto peggio di ieri, col Paese reale, Sardegna compresa, che vive, denuncia e grida ben altro da tempo. Questo: se è giusto che nell'isola le famiglie povere conclamate sono 117 mila su 634 mila, altre 80 mila vivono nel pantano o stanno per crollare. Vista la crisi, adesso basterebbe davvero un non nulla, qualunque imprevisto, persino un inaspettato conguaglio di luce o acqua, per far transitare ancora 200 mila persone dal limbo della quasi povertà all'inferno della disperazione assoluta. Inferno popolato, nel 2011, da 300 mila sardi, ovvero dagli zombi di questa ultima e maledetta società. Se ci fosse il trapasso, speriamo di no, da Olbia a Cagliari la percentuale dei nuclei sotto il limite di sopravvivenza - 992 euro al mese se sono in due, 1.617,71 in quattro - salirebbe ben oltre il 31 per cento. Ed è questo il dato che terrorizza più di altri, nel leggere l'indagine «La povertà e le politiche di contrasto», voluta e conclusa dal Crel. Dopo sei audizioni che sono servite a toccare con mano la realtà e sette riunioni, è stato il presidente, Tonino Piludu, a tirare le somme. «Il disagio - sono state le sue parole - è purtroppo molto al di là dell'asticella indicata dall'Istat. Noi adesso abbiamo la certezza che lo scivolare di molte famiglie verso l'abisso sia ormai un fenomeno inarrestabile, accelerato dal crack finanziario, che ha travolto o sta per farlo anche alcune delle classi sociali finora al sicuro». È vero, l'ultimo rapporto del Crenos, istituto di ricerca universitario, ha confermato che «la qualità della vita è in caduta verticale», con la provincia del Medio Campidano, il Sassarese e l'Oristanese in fondo alla classifica del dove si sta peggio.

È un disastro, ma stavolta, almeno sui soldi, la colpa non può essere scaricata sulle istituzioni. Fra cantieri comunali, progetti di ogni tipo e piani straordinari per contrastare l'indigenza, dal 2006 al 2011 a livello regionale sono stati stanziati 475 milioni. «È una cifra enorme - ha detto ancora il presidente del Crel - con una spesa pro capite di 234 euro, che è la seconda più alta in Italia, davanti abbiamo solo il Friuli». Tanti soldi ma che purtroppo spesso sono stati investiti male, con interventi votati all'assistenzialismo, a tappare le falle dell'emergenza, e quasi mai «destinati ad accompagnare le famiglie fuori dal tunnel», ha detto Fabrizio Carta che per conto della Cisl fa parte del Crel. Col risultato che in assenza di un coordinamento fra i vari enti o fra gli assessorati regionali i 475 milioni sul tavolo hanno finito per «non incidere sulle situazioni drammatiche e neanche su quelle in cui invece sarebbe bastato un intervento di accompagnamento sociale ed economico per evitare il tracollo».
È il caso delle famiglie sovra-indebitate, col reddito mensile ormai in ostaggio di finanziarie al consumo, prestiti con le banche e altre esposizioni che «nel totale hanno superato la soglia della sostenibilità, umana e contabile, del debito», è scritto nel dossier. Servirebbe, in questo caso, anche un fondo di garanzia, come quello pubblico-privato per le imprese, destinato a «sostenere urgenti piani di rientro e a riportare i nuclei familiari a rischio in un'area di sicurezza». È quell'area della speranza, che secondo il Crel deve prevedere immediatamente politiche attive del lavoro per chi da quel mercato è stato espulso o non c'è mai entrato, e anche interventi specifici: va risolta, ad esempio, la fame di case. Per poi alimentare quella che è stata sintetizzata dagli esperti come «un'indispensabile rete capillare di servizi» a favore delle famiglie, a cominciare dalla scuola per finire coi trasporti.

Certo, è difficile parlare adesso di welfare, con lo Stato che cinico continua a tagliare proprio nel e sul sociale, ma il Crel sul tema ha proposto una contro-verità sacrosanta: «Non servono altre risorse, sono sufficienti quelle che ci sono. Bisogna però spenderle meglio, per contrastare in concreto la povertà». Poi subito dopo ci vorrebbe un nuovo modello di sviluppo giusto, equo ed etico, ma questo sì che sa di miraggio.

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