La Nuova Sardegna

Scuola, è ormai allarme rosso

Franco Enna

Continuano i tagli in uno dei settori chiave del Paese

13 novembre 2011
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«Rise up», volano alto (o almeno ci provano) i giovani studenti “Indignados” che stanno cercando di cambiare il mondo: prima in Spagna, dove sono nati e hanno contribuito a far fuori addirittura lo stesso Zapatero, che in condizioni normali sarebbe stato uno di loro; mentre in America hanno deciso addirittura di far pagare cara la crisi mondiale alla stessa Wall Street. In Italia, invece, i nostri studenti indignati si fanno chiamare, molto più realisticamente, quelli della «Generazione P», che vuol dire «Precaria» e significa letteralmente generazione senza futuro. Perché è ormai palesemente esplicito il fatto che i tagli sociali, previsti con l’obiettivo di raggiungere qualcosa che rassomigli ad un pareggio di bilancio dello Stato, interessano quasi esclusivamente i settorI della Sanità e quello della Scuola, con conseguenze micidiali soprattutto sull’istruzione pubblica, che già dai tempi della Moratti, agli inizi di questo secolo, si ritrova a confrontarsi, a livello ministeriale, con non ben precisati progetti di “americanizzazione” del settore, con conseguenti tentativi di annullamento della scuola pubblica.

La ormai ex titolare del ministero dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ha benevolmente ammesso di aver un po’ esagerato a sottovalutare la protesta degli studenti e dei loro professori, dichiarandosi «pronta ad ascoltare i ragazzi», dopo averli snobbati a lungo, dichiarando fra l’altro che avrebbe fatto il possibile per convincere lo stesso ministro Tremonti ad applicarsi a comprendere il concetto di centralità della scuola e quello della ricerca nel mondo di oggi, ugualmente legato all’istruzione (ci voleva una laurea in Economia per capirlo!). E per sottolineare il suo senso di partecipazione alle proteste di docenti e studenti, ha detto che dal prossimo anno «la pianta organica dei docenti verrà ridotta di 80mila unità e lì ci fermeremo». Ecco, appunto: è proprio così che si ferma tutto. Riducendo gli organici, aumentando il numero degli alunni per classe (al Liceo Musicale dell’Azuni di Sassari si arriva già a 31 alunni per classe), annullando qua e là il tempo pieno, limitando le nomine dei supplenti a carico dei titolari presenti a scuola, riducendo l’orario del sostegno degli alunni portatori di handicap, licenziando i collaboratori scolastici, allungando all’infinito i tempi del pensionamento e accorpando gli Istituti. Staremo a vedere cosa farà Monti.

E’ proprio vero, comunque, che ogni epoca ha la scuola che la contraddistingue, e cioè un’istituzione capace di adeguarsi al respiro dei tempi, sia nel bene che nel male. In epoca fascista, venne sviluppata la scuola dei piccoli balilla e dei moschettieri. Poi arrivarono gli americani e si lavorò sul pragmatismo di Johnn Dewey. Noi “Sessantottini” avevamo Piaget, Freinet e Mario Lodi, ma anche riformatori come Maragliano e Vertecchi (docenti, fra l’altro, del Magistero di Sassari, nato proprio nel ’68), i quali crearono le regole per una scuola moderna, non solo “proletaria”. Oggi non sappiamo ancora esattamente chi ci sia dietro le varie riforme Moratti, Fioroni e Gelmini che si sono succedute in questo primo decennio del secolo. Quello che sappiamo è che nessuna ha dato risposte convincenti alle vere necessità dei nuovi insegnanti e degli alunni del duemila, così che la scuola attuale non corrisponde affatto alla società che rappresenta. Perché se la rappresentasse, forse sarebbe già tempo di cambiarla un’altra volta.
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