La Nuova Sardegna

I sardi pronti a unirsi ai «forconi» siciliani nella protesta anti-Equitalia

Umberto Aime
<strong>Fisco. </strong>Un gruppo di manifestanti spiega le ragioni della protesta nell’isola
Fisco. Un gruppo di manifestanti spiega le ragioni della protesta nell’isola

I «forconi» della Sicilia sono in rivolta da cinque giorni, e loro - i sardi dell’ormai storico Presidio contro le cartelle esattoriali - che sono stati i primi a scendere per strada, martedì le strade della Sardegna vogliono occuparle

21 gennaio 2012
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CAGLIARI. I Forconi della Sicilia sono in rivolta da cinque giorni, e loro - i sardi dell'ormai storico Presidio contro la sciagura delle cartelle esattoriali - dopo essere stati i primi a scendere per strada, martedì mattina le strade della Sardegna vogliono occuparle. Dove e come non l'hanno ancora deciso, «Il piano è segreto», dicono. Ma è proprio il tenore della risposta, secca e dura, a far sospettare che dopo la Sicilia, su un'altra isola sia in arrivo la tempesta della ribellione popolare.

Da un anno manifestano dappertutto fino a essere diventati un caso nazionale, da due mesi sono accampati per protesta nel parcheggio della Regione, da settimane vivono nella Torre pubblica di viale Trento, occupano gli uffici del nono piano, ma gli indignados di Sardegna non hanno esaurito le forze. «Fino adesso dalla Giunta, dal Consiglio regionale e dal prefetto siamo stati trattati come palline che dovevano rimbalzare da Cagliari a Roma, da Roma a Bruxelles. Basta, non siamo palline e neanche birilli, ma uomini ancora prigionieri di una giungla fiscale che continua a strapparci tutto: case, aziende e dignità». È gente sincera quella che annuncia «il martedì del blocco» a sorpresa.

In questo Movimento, non ci sono infiltrati pericolosi, come forse in Sicilia, tanto che due inviati della Digos sono lì ad ascoltare la colonna indipendentista del Presidio invocare un pacifico «ritorno immediato alla legalità fiscale», senza mettere sul piatto altri bellicosi e imprevedibili effetti collaterali. Ed è scontato che sia così, perché la stragrande maggioranza degli indebitati sardi fa parte di quel popolo schiacciato prima dalla crisi, dai licenziamenti, dalla disoccupazione e poi da Equitalia, dalle banche e dagli esattori.

Ieri lo hanno ripetuto a più voci: «Nessuno pretende il colpo di spugna, chiediamo soltanto di non essere massacrati da un sistema infernale e vessatorio che moltiplica gli interessi sul debito, gonfia le cartelle e ha messo in ginocchio già sessantamila azienda e non sappiamo più quante persone. Ormai tutti siamo braccati dallo Stato e dall'Agenzia delle entrate, che da noi sardi vogliono 600 milioni e se non glieli diamo subito continueranno a pignorare, a mettere all'asta quel poco che abbiamo ancora».

È questo il manifesto della protesta letto tutto d'un fiato da Marco Mameli, il portavoce del Presidio. Manifesto che è ancora lo stesso dopo un anno di cortei, assemblee e occupazioni: «Perché oltre alla solidarietà, chi doveva intervenire non è andato», denuncia Andrea Impera del Movimento Artigiani e commercianti liberi del Sulcis, per poi elencare i fantasmi sul palcoscenico affollato delle false promesse. Cappellacci, che non ha ottenuto dal Governo la dichiarazione dello stato di crisi regionale, doveva servire a bloccare le cartelle esattoriali. I parlamentari sardi, inascoltati prima da Berlusconi e Tremonti, chissà se adesso ce la faranno col professor Monti. Il Consiglio regionale, che dopo aver votato un ordine del giorno unitario ha lasciato cadere nel vuoto i dieci punti messi assieme per evitare l'ormai prossimo tracollo sociale. Sulla stessa lista nera ci sono anche la Sfirs, su mandato della Giunta doveva costituire un fondo di solidarietà, ma nessuno sa quale fine abbia fatto quel salvagente, e il prefetto.

«Continuano a sottovalutarci», dice Andrea Impera, mentre con rabbia stringe fra le mani quanto gli resta dei protocolli d'intesa firmati dopo il secondo corteo a Cagliari: niente. Ci hanno sperato nella salvezza, adesso la delusione è forte. «Potevano almeno far partire la commissione d'inchiesta regionale su Equitalia e invece anche quella si è rivelata un'altra promessa. Falsa», dice Maddalena Selis, che va e viene dagli uffici occupati, dove la «gente disperata continua a telefonare e a chiedere il nostro aiuto».

È Ambrogio Trudu a chiudere l'annuncio del martedì stile forconi siciliani: «Abbiamo sperato nella politica, nei partiti. Abbiamo creduto che bastasse la resistenza passiva, siamo stati traditi: il 24 ripasseremo all'azione». In serata, il governatore e l'assessore La Spisa hanno emesso un comunicato in cui si legge: «La Regione, nel rispetto delle norme, finora ha portato avanti in modo deciso e continuerà a farlo ogni azione che possa alleggerire il sistema di riscossione». E la dichiarazione dello stato di crisi? Chiesta, confermano, ma Roma tace.

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