La Nuova Sardegna

Evasioni di inchiostro

Fabio Canessa
Evasioni di inchiostro

Racconti e poesie dei condannati all'ergastolo detenuti a Badu 'e Carros

24 marzo 2012
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SASSARI. «La cosiddetta «alta sicurezza» è, nell'ordinamento carcerario, quella riservata ai detenuti giudicati più pericolosi. Mi aspettavo dunque individui sinistri e sogghignanti, ceffi dalle barbe unte, la benda nell'occhio e il bicipite tatuato, magari senza una gamba o senza un braccio. E invece cosa mi ritrovo davanti? Persone». Nella quarta di copertina un estratto dell'introduzione di Alberto Capitta racchiude molto di un libro davvero particolare.

Un libro frutto di un corso tenuto dallo scrittore sassarese all'interno di Badu 'e Carros: «Evasioni d'inchiostro - Racconti, favole e poesie di dieci prigioneri di seppia». Sì, prigioneri senza la «i». Per un gioco di parole voluto dagli stessi autori: condannati all'ergastolo. Il volume, pubblicato dalla giovane casa editrice di Sassari Voltalacarta (251 pagine, 13 euro), arriva proprio oggi nelle librerie. Ultima tappa di un percorso iniziato tempo fa, ideato e avviato dalla Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri Onlus con il progetto «Ad Altiora, la filiera dell'inclusione» e portato avanti, come docenti del corso di scrittura, da Alberto Capitta insieme con Angelo Mazza, professore di lettere, e Piero Fadda, editor.

«Siamo arrivati all'idea che fosse giusto pubblicare un libro - sottolinea Capitta - quando tutti abbiamo avvertito la necessità di raccontare l'esperienza. Ma soprattutto perché loro, i reclusi, avessero la percezione di un volo verso l'esterno. Là dove non potranno mai più arrivare loro, ergastolani, che vadano almeno le loro pagine con le loro parole». Parole dal mondo del carcere, un mondo escluso visto da chi lo popola: «La prima volta che entrai a Badu 'Carros - ricorda lo scrittore - rimasi colpito dalle grandi aree vuote. Superata la zona dei controlli, si viene introdotti in un enorme atrio deserto e privo di tutto, luminoso e colorato, una sorta di limbo che separa la prigionia dalla libertà».

Racconti di vita vissuta o di fantasia. Evasioni artistiche che richiamano quelle mostrate nel recente docu-film dei fratelli Taviani che ha trionfato al festival di Berlino. In «Cesare deve morire» i Taviani accendono i riflettori sulla sezione di alta sicurezza del carcere di Rebibbia di Roma, dove viene rappresentato, dai detenuti della sezione, il «Giulio Cesare» di Shakespeare. Risultato di uno dei diversi laboratori teatrali tenuti dal regista Fabio Cavalli. A uno di questi ha partecipato anche Ugo De Lucia finito poi a Badu 'e Carros. Il suo racconto, «Il mio incontro con Laerte», apre il libro «Evasioni d'inchiostro» e parla proprio dell'esperienza alle prese con Shakespeare, con «Amleto». L'ispirazione autobiografica è forte in diverse pagine. Ricordi, descrizione dello stesso carcere. Ma la realtà abbraccia spesso anche il sogno. E poi c'è la natura, gli animali. Tanti animali. Cavalli, come in «La prima corsa di Baestrocchi», di Benedetto Privitera, oppure gazze ladre o volpi come nelle favole di Cosimo Di Pierro. Narrativa, ma non solo. I libro è infatti arricchito anche da poesia. Il maggior numero di versi sono quelli di Antonio Marini. Componimenti premiati in concorsi interni al carcere o nazionali. Ma interessanti sono anche gli elaborati degli altri prigioneri di seppia non ancora citati: Mario Cabras, Gian Paolo Locci, Agostino Murru, Vincenzo Russo, Vittorio Salis, Arcangelo Valentino.
Racconti e poesie frutto di nove mesi di grande impegno: «Alla prima lezione - ricorda Alberto Capitta - ho capito subito di avere a che fare con persone interessate e motivate, curiose di tutto e disposte ad imparare. Alcuni di loro erano anche piuttosto preparati, facevano citazioni importanti di testi ed autori. Inoltre la cella era stata trasformata in una perfetta aula scolastica con la cattedra, i banchi, la lavagna e tutto il resto. Nessuno si nascondeva la realtà del luogo, né le ragioni che li avevano portati là, ma per quelle poche ore valeva solo il gioco della scuola. Si è arrivati alla fine del corso con una montagna di lavori, poesie, racconti, preghiere, canzoni che sommergeva ad ogni lezione la cattedra. Quello era l'intento, far scattare la scintilla, fare esplodere l'incendio. Anche se questo li ha in parte addolorati per il rimpianto di ciò che avrebbero potuto essere se solo la vita li avesse indirizzati diversamente». La scrittura come terapia: «Come scrivo nella conclusione della mia introduzione al libro - dice Capitta - ci vorrebbe ben altro per curare e lo sappiamo bene, ma è pur sempre qualcosa; allora che serva almeno per quel poco, perché non venga dissipato proprio tutto e per far sì che questi diseredati possano, origliando il mondo dal loro angolo, non solo sopravvivere, ma continuare a vivere».

Intanto i detenuti aspettano con ansia di avere tra le mani il libro. «Attesa - sottolinea Eliana Pittalis, responsabile della Fondazione che ha ideato il progetto - che sembra sempre infinita a chi è costretto ad avere a che fare con una concezione del tempo dilatata. Contiamo di poterglieli dare nei prossimi giorni e la prossima settimana porteremo i libri anche a Milano a «Fai la cosa giusta», la fiera del consumo solidale. Poi faremo presentazioni sia in carcere sia fuori».

Ma il libro è anche figlio - perché i libri che pubblicano per loro sono come figli - delle due trentenni sassaresi, Silvia Sanna e Luana Scanu, che hanno fondato meno di un anno fa la casa editrice Voltalacarta. Altra parte coinvolta in questo progetto il cui merito va innanzitutto alla Fondazione Casa di Carità, che lavora da anni con i detenuti, ma poi diviso in più componenti che hanno formato una squadra: «Abbiamo accettato subito quando Alberto ci ha contattate - raccontano Silvia e Luana - Ci piaceva l'idea di dare voce a chi non ne ha. E leggendo i racconti e le poesie siamo rimaste colpite dalla qualità. Un progetto che ci ha davvero emozionato. I proventi delle vendite, a parte coprire le spese, saranno investiti in nuovi corsi di formazione».
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