La Nuova Sardegna

L’edilizia nella morsa della burocrazia

di Umberto Aime
L’edilizia nella morsa della burocrazia

La denuncia dell’Ance: «Per le opere pubbliche non bastano 4 anni fra il progetto e l’avvio dei lavori»

26 giugno 2012
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CAGLIARI. Le imprese edili sono schiacciate nella morsa. Da una parte soffrono come non mai li tempi folli della burocrazia. C’è la prova: per un’opera pubblica, in Sardegna, l’esasperante viaggio dalla progettazione all’apertura del cantiere può durare da 24 mesi fino a quattro anni, ma in alcuni casi la stortura va ben oltre, con addirittura dieci anni di attesa. Dall’altra parte, sono le stesse imprese a subire la lentezza, anche questa esasperante, dell’ente pubblico nei pagamenti degli appalti. Il risultato è che dal 2007 al 2011 oltre duemila imprese edili sono scomparse e ben 15.700 operai licenziati. È un disastro, ha denunciato l’Ance, l’associazione regionale dei costruttori, nel rimarcare che «nel frattempo però la Regione ha residui passivi (investimenti finanziati ma fermi) per 7 miliardi: un altro disastro. «Eppure – ha detto il presidente Maurizio De Pascale – basterebbe che fosse messo in circolo il 10 per cento di quelle spese congelate, per azzerare la disoccupazione nel nostro settore». Invece fra lungaggini, inutili rallentamenti nelle procedure, doppi e tripli passaggi, con le pratiche che rimbalzano anche 30 volte da un ufficio all’altro, l’edilizia continua ad affondare. Per cercare di mettere una pezza allo scandalo, l’Ance ha firmato un protocollo con l’associazione dei Comuni. L’obbiettivo dell’accordo è evidente, ha detto Cristiano Erriu, presidente dell’Anci: «Insieme vogliamo semplificare, snellire, i rapporti fra gli enti locali e le imprese, per avviarci verso un percorso virtuoso soprattutto quando nelle secche finiscono opere strategiche per la comunità». Finora strade, scuole, acquedotti e case popolari sono rimaste incagliate in un iter ordinario e devastante. «È evidente – ha detto ancora De Pascale – che l’intero sistema economico subisce questa incapacità pubblica di saper spendere». Anche se va detto, a discolpa dei Comuni, che spesso è il mai amato patto di stabilità a bloccare gli investimenti nelle infrastrutture. Ma i correttivi, al di là del protocollo, esistono. Secondo i costruttori, basterebbe ad esempio prevedere la figura del “responsabile unico della progettazione” per sconfiggere buona parte della burocrazia, oppure rendere obbligatorie le “conferenze di servizi” quando si tratta di opere importanti e sarebbe così evitato l’assurdo doppio passaggio Stato-Regione in alcune autorizzazioni, o quello complicato fra chi tutela l’ambiente piuttosto che il paesaggio. «Se poi, concluso questo cammino tortuoso, le imprese devono aspettare anche anni per essere pagate – ha sottolineato De Pascale – si capisce subito perché l’economia ha un crollo verticale». È colpa del solito nodo scorsoio, quella burocrazia che neanche il governo dei professori riesce a condannare a morte.

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