La Nuova Sardegna

Il ministro a Olbia attacca gli industriali caseari

di Guido Piga

Mario Catania al convegno Coldiretti: «Dal latte di pecora ricavano solo 2 prodotti Si sono impigriti e pagano agli allevatori sardi un prezzo troppo basso»

09 ottobre 2012
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OLBIA. Di “dibbbattiti” – con tre b, come usa dire nella sua Roma – Mario Catania, 60 anni, ministro dell’Agricoltura, ne ha affrontati. Una vita da tecnico, la sua: spesa tra i palazzi della capitale che si occupano di mangimi e coltivazioni e quelli di Bruxelles che impongono la linea. L’immagine perfetta del montiano: molto professorale, poco polemico. Niente lasciava prevedere che la sua visita a Olbia avrebbe scaldato i cuori del migliaio di pastori e agricoltori arrivati da mezza Sardegna per capire se il ministro avrebbe portato qualche buona nuova per il mondo delle campagne.

Invece è andata così, quando a un certo punto – pacato nei toni, duro nella sostanza – Catania ha attaccato gli industriali sardi del latte. «Pigri» li ha definiti. Quasi un remake del “bamboccioni” usato dall’ex ministro Padoa-Schioppa a proposito degli under 40 italiani. Dalla platea si è alzato un applauso fragoroso. Ripetuto man mano che Catania affondava il coltello contro il “cartello dei padroni”.

«Il prezzo del latte che gli industriali pagano agli allevatori sardi è troppo basso» scandisce Catania. Boato. «Gli industriali si sono impigriti – continua –. Prima c’era lo sfogo dell’export verso gli Usa: il pecorino romano veniva commercializzato oltreoceano perché c’erano i soldi di Bruxelles. E ora? Non è ammissibile che i produttori sardi ricavino solo un prodotto o al massimo due dal latte. Nel resto d’Europa dal latte di pecora tirano fuori molti prodotti: freschi, molli, stagionati... Perché qui no?». Altro applauso convinto.

I pastori non si attendevano una presa di posizione così netta, così dichiaratamente ostile verso le imprese. È quello che vanno dicendo da decenni, «ci pagano il latte una miseria, non reggiamo più». E adesso c’è un ministro della Repubblica, tecnico e sganciato (forse) dalle lobby, che dà loro legittimità. Sembrano tutti contenti, nella sala del Geovillage che ospita questa convention voluto da Fedele Sanciu, ex pastore, ex capo della Coldiretti, oggi presidente della Provincia e soprattutto candidato alla rielezione in Senato in quota Pdl, o quel che ne sarà.

La scena è dominata tutta dalla Coldiretti: democristianeria varia che cerca sempre la conciliazione fra gli opposti, un tempo un po’ con i padroni e un po’ con gli industriali. Uno schema che sembra saltato, almeno pubblicamente. Sergio Marini, umbro, numero 1 nazionale della Coldiretti, chiede al ministro di rompere il cerchio dei poteri forti che bloccano la legge sull’etichettatura dei prodotti agricoli: «Lei, ministro, sta lavorando bene -– dice – ma nel suo Governo non tutti remano nella stessa direzione, e infatti il decreto sul Made in Italy non è stato approvato. Perché?».

Bella domanda. Una l’avrebbe voluta fare anche la Confagricoltura. «Ci hanno invitato, ma non ci hanno dato la parola – attacca Gregorio Raspitzu, capo dell’organizzazione in Gallura –. Nessuna polemica, però almeno attraverso il giornale volevamo farlo sapere...».

Sarà una questione di equilibri politici, per dirla con Sanciu che sul concetto («ne so qualcosa, io, sempre in bilico come presidente della Provincia») strappa una risata al pubblico. Un po’ di distensione in mezzo all’altro attacco che Catania, con stile impassibile da burocrate, sferra al sistema Sardegna. Anzi, alla Regione. «Ci vorrebbe maggiore impegno per mettere insieme l’agricoltura e l’allevamento con il turismo – spiega, con l’assessore Cherchi al suo fianco –. L’ha fatto la Toscana. L’ha fatto la Puglia, in particolare il Salento. Quello che si produce nei campi finisce negli alberghi e nei complessi turistici. E invece qui il turismo della Costa Smeralda non ha alcun contatto con il mondo agricolo». Cherchi avrà preso nota? E quelli della Costa, che organizzano il Wine festival e il Food festival, che ne pensano?

Infine Catania, nel dibattito moderato bene da Mario Sechi, direttore del Tempo, giornale del costruttore Bonifaci, si sposta a Bruxelles, la lontana città che negli ultimi venti anni ha condizionato la vita negli ovili. «Sono stati fatti progressi nell’agricoltura sarda – osserva il ministro –. Adesso ci sono in discussione le politiche agrarie, i soldi. Si sa che una certa fetta andrà ai nuovi paesi membri dell’Est. Ma la Sardegna può dire la sua. Io mi sto battendo per una rimodulazione dei contributi, e continuerò a farlo finché il governo non cadrà. Anzi, scusate il lapsus, fino a quando non terminerà il suo mandato (risate). Bisogna voltare pagina: i soldi devono andare solo alle aziende agricole, non ai proprietari fondiari». E via un altro applauso intenso ma genuino al “compagno” Catania, nemico dei latifondisti.

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