Sulle tracce dei protosardi: i primi sbarchi in 4 ondate
Secondo gli studiosi si è estinto il ceppo iniziale vissuto a Perfugas e a Ottana. I nuragici deriverebbero dall’«Homo sapiens sapiens» arrivato molto più tardi
SASSARI. A volte la fine segna un nuovo inizio. Il ritrovamento di utensili preistorici nella piana di Ottana fa riaprire pagine di un passato lontano. Lo scoop scientifico riaccende l’interesse sui primi uomini arrivati dalla terraferma. Sì, perché, se esiste un argomento che suscita attenzione, è quello dei tanti rebus legati agli albori della civiltà. Tema da sempre al centro di un libro avvincente in Sardegna: ora i suoi capitoli si arricchiscono, grazie a scoperte che consentono di ricondurre ad almeno 4 fasi gli sbarchi sull’isola. Le ultime ricerche portano infatti a una revisione delle originarie tesi sulla protostoria in questa parte del Mediterraneo. E c’è qualche novità recentissima. Ecco i fatti.
La prima svolta avviene lungo le rive del rio Altana, a Perfugas, e risale alla fine degli anni Settanta. «Allora indagini stratigrafiche permisero d’individuare strumenti riferibili a un momento antico del Pleistocene medio, ossia a circa mezzo milione di anni fa: riconducibili, più precisamente, a un’industria litica realizzata nella tecnica chiamata Clactoniana – spiega Alberto Moravetti, docente di Preistoria e protostoria all’università di Sassari – Inoltre, a Sa Pedrosa-Pantallinu, vicino a Laerru, vennero riconosciuti depositi alluvionali risalenti a un periodo più avanzato del Pleistocene». «Non abbiamo tracce dirette così remote dell’uomo, ma solo le testimonianze che ci ha lasciato attraverso i suoi manufatti», aggiunge Paolo Melis, assistente di Moravetti. «Circa gli arrivi in Sardegna, poi, si possono ipotizzare fasi distinte – prosegue Melis – La prima, documentata dai ritrovamenti di Perfugas e ora nella piana di Ottana, va da 600mila a 100mila anni fa». Niente a che vedere, dunque, con la presenza riscontrata nell’isola (e in particolare nell’area di Fiume Santo) degli oreopitechi, primati forse derivati da scimmie, alti poco più di un metro, considerati un ramo collaterale degli ominidi e comunque vissuti svariati milioni di anni fa.
Tra i 600mila e i 100mila gli antropologi sono invece inclini a rilevare una specie evoluta, con caratteristiche fisiche e genetiche precise, in grado di costruire appunto attrezzi e utensili. «In Sardegna la seconda fase, nel Paleolitico superiore, tra 100mila e 40mila anni fa, coincide così con l’arrivo di cacciatori a piccoli gruppi – continua Paolo Melis – Poi, tra i 40mila e i 20mila anni fa, si può ritenere possibile lo sbarco d’individui riconducibili all’Homo sapiens sapiens. Per chiudere con un periodo che coincide con grandi ondate partite da Nord Africa e Vicino Oriente: migrazioni che nell’isola segnano l’introduzione dell’allevamento e dell’agricoltura, a partire da 10-8mila anni fa».
Lo studioso Franco Germanà – un medico sassarese che ha dedicato molte delle sue indagini alle fasi comprese tra Paleolitico ed età nuragica – nell’opera “L’uomo in Sardegna” (Edizioni Delfino) investiga a fondo sull’identità degli individui vissuti in quel lontano periodo. E ipotizza che «i paleosardi dell’Anglona potrebbero avere avuto una conformazione fisica a mosaico”: ovvero con caratteri somatici in parte evoluti e in parte arcaici. Parecchi genetisti, inoltre, sono convinti che almeno alcuni dei clan arrivati in Sardegna nelle prime due fasi si siano estinti. E che perciò i nuragici, e prima di loro i mitici Shardana o Popoli del mare, se mai sono esistiti con queste denominazioni, siano i discendenti dell’ultima fase migratoria. «Non esistono tracce di continuità tra i diversi gruppi», non si stancano infatti di sottolineare gli esperti. D’altronde, se gli arnesi trovati a Perfugas e più di recente nella piana di Ottana gettano sprazzi di luce su epoche ancestrali e se in Corsica sono state osservate tracce umane dirette risalenti a 80mila anni fa, in Sardegna non mancano reperti recenti. Come i frammenti di ossa. I più antichi sono quelli della Grotta Corbeddu, a Oliena. Nell’anfratto sono stati scoperti una falange e altri frammenti cranici, risalenti a un’epoca tra i 7.500 e i 14mila anni fa. E l’industria litica rilevata nella caverna documenta a ogni modo la presenza di famiglie attive in quella parte dell’isola già molto prima, grosso modo 20mila anni fa.
«Nelle ricostruzioni è comunque indispensabile la massima prudenza, dato che ancora adesso ci sono autorevoli specialisti che dubitano persino che i resti rinvenuti in Anglona siano riconducibili a un periodo così remoto», ammonisce il professor Moravetti. «È insomma corretto porsi la questione di quando l’uomo sia sbarcato in Sardegna, ma sarà bene ricordare che le teorie si avvicendano non senza controversie scientifiche perché il Paleolitico pone sempre grossi problemi», aggiunge. «Sulla base dei dati disponibili si è a ogni modo ipotizzato che il popolamento della Corsica e della Sardegna sia il risultato di frequentazioni episodiche, occasionali, da parte di gruppi provenienti dall’arcipelago toscano, arrivati durante le glaciazioni che hanno determinato l’emersione della piattaforma costiera», conclude il docente. Poi, in epoca storica, sono sbarcati i più stretti progenitori dei nuragici. Ma ora gli archeologi sperano in nuove scoperte. Obiettivo finale: risolvere gli altri rebus che costellano il passato remoto dell’antica Ichnusa.
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