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«Prima qui lavoravo, ora sono un ospite»

«Prima qui lavoravo, ora sono un ospite»

Un fabbro di 51 anni: ho saputo di avere l’Hiv dopo il matrimonio, ho continuato a bucarmi

01 dicembre 2012
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SASSARI. Prima di entrare alla casa famiglia di Sant’Antonio Abate da ospite, A.S. ci aveva messo un piede da “artista”. Era un fabbro raffinato, che con le sue mani aveva delineato i piccoli galletti oggi alle estremità delle aste per le tende della casa. «Ma ora qui non ho gli attrezzi, anche se so che potrei tornare a lavorare». Ad A.S. non daresti mai i suoi 51 anni, per l’espressione quasi infantile, il sorriso spontaneo. Da 8 anni ha l’Aids conclamato, cioè ha passato la barricata della sieropositività. Nel frattempo, sua moglie è morta, e nonostante lui abbia una casa di proprietà, tre sorelle, l’unico ricovero possibile è questo di Mondo X. «Prima ero nella comunità di recupero per tossicodipendenti», racconta felice di essere intervistato. «Lavoravo il ferro. Mie sono gran parte delle ringhiere di questo palazzo. Poi ci sono venuto da ospite». Ricorda la scoperta del virus senza troppa emozione. «Ho iniziato a farmi da giovane. Stavo bene, la mia famiglia stava bene. Un giorno un amico che aveva appena smesso disse, “perché non provi”. E io come uno stupido ci sono cascato. Mi piaceva molto l’eroina». Però poi aveva continuato un’esistenza quasi normale, aveva un’officina al suo paese, in provincia di Nuoro, con due dipendenti. Ma col tempo aveva preso l’abitudine a chiedere anticipi sui lavori, che poi non faceva. «E fui costretto a chiudere». Andare a Milano e poi a Genova non cambiò nulla. «Lì spacciavo anche, per fortuna non mi hanno mai preso. E mi drogavo anche con le siringhe di chi incontravo per strada». Poi decise di entrare nella comunità San Mauro di Morittu, a Cagliari, e poi in quella di S’Aspru, a Siligo. «Dopo quattro anni mi ero disintossicato, lì avevo conosciuto una ragazza e ci eravamo sposati». Ma la vedrà morire. «Durante un ricovero scoprirono che avevo l’Hiv. Ma io non ne me preoccupai. Allora non si sapeva nulla, e continuai a fare la mia vita come se nulla fosse, e a scambiare le siringhe. Solo in seguito una psichiatra mi disse che dovevo prendere farmaci perché avevo l’Aids». (e.l.)

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