La Nuova Sardegna

«Una piazza per Alina? Prima la verità»

di Gianni Bazzoni
«Una piazza per Alina? Prima la verità»

Porto Torres, la famiglia della giovane uccisa replica al consigliere comunale che chiede l’intitolazione

04 dicembre 2012
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PORTO TORRES. Niente piazze o vie, prima serve giustizia. La famiglia di Alina Cossu – la studentessa di Porto Torres barbaramente uccisa 24 anni fa da un assassino che è ancora in libertà – considera «inopportuna» la proposta di un consigliere comunale che, nei giorni scorsi, ha avanzato l’idea di intitolare una via o una piazza alla ragazza nell’ambito delle iniziative per la Giornata dedicata alla violenza sulle donne.

«E’ un proposito che era arrivato anche da un’altra persona politica – ha spiegato Sabrina Cossu, sorella di Alina, a nome della famiglia – che preventivamente ci aveva informato, perché certe azioni vanno attuate (a ragione) con il consenso dei familiari». Pur apprezzando la sensibilità del gesto, oggi come allora, i parenti di Alina Cossu sono concentrati nella ricerca della verità.

«Constatiamo, prima di altri, che la crudeltà della morte di Alina sia una spina nel cuore di molti portotorresi – afferma Sabrina – ma riteniamo inopportuno intitolare una piazza alla sua memoria. Non serve ricordare che la nostra famiglia attende da 24 anni di sapere cosa è successo quella terribile notte. Penso che ormai si capisca che il nostro unico obiettivo di questa continua ricerca della verità sia di dare almeno un po’ di giustizia ad Alina». Il sentimento è chiaro: «Nessuna iniziativa può compensare il nostro bisogno di risposte e giustizia. Soltanto quando si riuscirà a porre fine a questa vicenda, Alina potrà essere ricordata con rassegnazione e un minimo di serenità da noi e da chi le ha voluto bene». Solo allora, la famiglia della studentessa di Porto Torres ritiene che «si potrà dare un messaggio diverso e più giusto, che parla di dolore ma anche di giustizia, di lotta contro la violenza sulle donne. Soltanto quando le lacrime delle mamme saranno soprattutto di gioia e non di dolore, allora potremo dire di avere imboccato la strada giusta».

Qualche settimana fa, la richiesta di un intervento per adoperarsi affinché si faccia luce sull’omicidio di Alina Cossu era stata rivolta da una donna a un’altra donna. Dal parlamentare Manuela Repetti, membro della commissione Giustizia della Camera, al ministro Paola Severino.

«Le indagini condotte all’epoca dagli inquirenti – ha scritto il deputato – suffragate da numerosi e incredibili riscontri, furono archiviate dalla magistratura. Per questo ora la famiglia chiede che vengano riaperte le indagini, anche con la riesumazione del cadavere di Alina che, grazie a più sofisticate tecniche scientifiche rispetto a 24 anni fa, potrebbe dare finalmente risposte sulla morte con l’individuazione del suo assassino».

Al Guardasigilli, l’onorevole Repetti ha chiesto con insistenza «di occuparsi del caso e fare in modo che venga riconsiderata l’apertura della indagini, al fine doveroso di accertare la verità».

La famiglia di Alina Cossu, in fondo, chiede solo giustizia. E la città di Porto Torres – prima di intitolare una piazza – può forse fare molto di più. C’è qualcuno che sa, che ha visto o sentito. C’è sicuramente una giovane donna che aveva telefonato offrendosi di smascherare il killer, e poi era sparita nel nulla. Un lunghissimo silenzio, mai interrotto in questi anni. Ecco, se Porto Torres si vuole davvero mobilitare, può farlo per contribuire ad affermare la verità e chiudere una vicenda tragica che sembra non avere mai fine.

La ricerca della giustizia è il percorso attraverso il quale arrivare alla conservazione della memoria.

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