La Nuova Sardegna

Supramonte, pastori sui picchi come aquile

di Luciano Piras
Supramonte, pastori sui picchi come aquile

Viaggio lungo i sentieri verticali tra l’Ogliastra e la Barbagia - FOTO

16 gennaio 2013
4 MINUTI DI LETTURA





BAUNEI. Biddodda aveva appena vent’anni e soltanto una taschedda nelle spalle. A mani nude, faccia alla parete verticale. Attorno: guglie, archi di pietra e grotte. Dietro: il mare aperto dell’Ogliastra. Era il 1947. Il giovane Battista Incollu Biddodda stava scalando trecento metri di roccia, a Coa ’e Serra. Neanche una corda, né moschettoni né imbrago alcuno. Soltanto terra, vento e sapore di salsedine quando il pastore di Baunei si trovò di fronte a una placca completamente liscia. Andare avanti era un rischio, mortale. Tornare indietro, impossibile. Biddodda si fece il segno della croce e spiccò un balzo verso l’alto per artigliare qualche ramo e catapultarsi su un provvidenziale ginepro secolare.

Roba che soltanto le capre ogliastrine possono fare in queste spettacolari propaggini dei Supramontes, là dove osano anche le aquile. E i pastori sardi, audaci e impavidi per sopravvivere alle leggi della natura. Come dimostrano le immagini, le carte, le schede, le storie e le leggende messe insieme da Sebastiano Cappai in un libro appena pubblicato come numero speciale della rivista “Natura in Sardegna” dell’Associazione dei forestali della Sardegna, “Iscalas e pizos. I sentieri verticali dei pastori alpinisti” (S’Alvure editrice). Trecentocinquanta pagine che prendono le mosse da una poesia di Cesare Carta, di Baunei: «E comente est ch’ant fattu sos pastores / a si fagher cun truncos sos caminos / inue est logu de sos boladores?». «Ma come hanno fatto i pastori / a crearsi con i tronchi dei passaggi / là dove osano solo le aquile».

Tre versi che sintetizzano l’opera magistrale di Sebastiano Cappai, di Borore, classe 1962, autore dei testi e delle fotografie,sottufficiale del Corpo forestale e di vigilanza ambientale. Non a caso ha avuto subito il sostegno dall’Associazione dei forestali, sodalizio nato nel 1994 ma che ha già all’attivo diversi lavori per la promozione del patrimonio naturale e culturale dell’isola.

“Pinnettos”, un viaggio tra gli antichi ovili della terra dei nuraghi, è del 2002. Ora arriva questo prezioso “Iscalas e pizos”. «Un lavoro di anni, voluto e inseguito con tenacia e testardaggine» sottolinea il geografo Matteo Cara.

«Un lavoro dedicato ai pastori del Supramonte che hanno affrontato e superato gli ostacoli di un territorio a prevalente sviluppo verticale» spiega lo stesso Cappai. Che individua, riscopre e descrive alcune tra le più emblematiche e spettacolari iscalas costruite e utilizzate dai pastori rocciatori dei Supramontes di Baunei, di Dorgali, Oliena, Orgosolo e Urzulei. A Fruncu Nieddu come a Su caddu de Marco Spanu, a Lanaitho come a Gorroppu e al Corrasi, a S’istampu e a Sos udulos, a Sa pruna come a Perda Longa. Ovunque, insomma, ci siano ancora i segni dell’ingegno umano per superare gli ostacoli orografici. Iscalas, appunto, e pizos. Iscalas: «passaggi sulla nuda roccia verticale con difficoltà di vario grado, oppure un misto tra roccia ed aggiustamenti eseguiti con tronchi di ginepro, ubicati nei punti più problematici da superare» racconta Cappai. Davvero spettacolare S’ishala e su brohu sotto punta Sos nidos, a Oliena, che risale ben ottocento metri di roccia. Emblematica quella che risale la torre calcarea di Iradorgiu, posta al confine tra i territori di Urzulei e Dorgali: circa quaranta metri di arrampicata per arrivare in cima al piccolo tacco che ospita ancora i resti di dodici capanne del periodo tardo Nuragico.

Poi ci sono i “pizos”: «Sono quei ballatoi o cenge semiorizzontali appesi alle pareti» va avanti il ranger-fotografo di Borore, da oltre vent’anni preso dal “mal di Supramonte”. «In alcuni casi – sottolinea – questi “pizos”, detti anche “piggius”, sono di notevoli dimensioni e consentivano di rinchiudervi gli animali oppure costringevano il pastore ad acrobatici recuperi di capre in cerca di libertà».

Badore Piras Mùlluri racconta di un famoso recupero di diversi beccos, montoni, da Su piggiu de filu pendere che aveva richiesto ben diciannove armucoddos, ossia: due lazi, sogas, due lunghe corde di cuoio unite per superare un salto nel vuoto che sfiorava i venticinque metri. Vincenzo Fancello Brotza, invece, da ragazzo venne calato con il sistema delle sogas dentro il nido di un’aquila considerata troppo “ladrona”, che venne così punita con la razzia dei pulli. «Ziu Billia Mereu, classe 1909 – va avanti Sebastiano Cappai –, era uno dei più straordinari pastori alpinisti dei tempi recenti. A Dorgali e Baunei si raccontano ancora le sue incredibili gesta e molte delle ardite costruzioni da lui realizzate sono ancora fruibili: fra queste S’iscala ’e sos udulos a Monte Oddeu o quella incredibile detta de or Gaedanos dove, per superare un piccolo strapiombo, si era inventato una sorta di rampa metallica, due gradini realizzati intrecciando il filo di rame». «Quest’ultima opera risalente agli anni Cinquanta è ancora oggi perfettamente efficiente» giura Cappai.

Altro personaggio mitico è Giovanni Piras Mùlluri, classe 1920, uomo dalla forza e abilità straordinarie, autore di alcune spericolate iscalas, nel 1963, realizzò la prima corda fissa dei Supramontes.

«Dotato della innata capacità di inventiva ed adattamento degli abitanti di quei luoghi – rimarca il sottufficiale del Corpo forestale –, pensò di utilizzare una gomena, recuperata presso l’arenile di Ispuligidente, e di attrezzare con essa un lungo salto a Su piggiu ’e su cerbu, sui fianchi precipiti da Badu Mudaloru. Allora, per il trasporto delle attrezzature il pastore usava e spesso usa tuttora sa tasca, robusto zaino di cuoio, mentre come calzatura ancora oggi tanti preferiscono sos cosinzos alle moderne scarpe da trekking che hanno il difetto di incastrarsi con i tacchetti sulle lame di calcare e non aderiscono alla roccia».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Incarichi vacanti

Sanità nel baratro: nell’isola mancano 544 medici di famiglia

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative