La Nuova Sardegna

Pisanu: «Lascio sereno, l’esperienza è un merito»

di Filippo Peretti
Pisanu: «Lascio sereno, l’esperienza è un merito»

Intervista al decano dei parlamentari, dal Pdl a Monti e alla fine non ricandidato «È sorto il problema delle dieci legislature e educatamente l’ho risolto io stesso»

30 gennaio 2013
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CAGLIARI. Sono nove i parlamentari sardi che non sono ricandidati alle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio. Tra di loro spicca Beppe Pisanu, il decano: dieci legislature, di cui cinque con la Democrazia cristiana (dal 1972 al 1992) e cinque con Forza Italia e Pdl (dal 1994 a quella che si sta per chiudere). Pisanu, presidente della commissione Antimafia, da tempo era in rotta con Silvio Berlusconi: ha lavorato a lungo con Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini alla costruzione di una forza centrista alternativa, ha appoggiato con convinzione il governo tecnico di Mario Monti ed è passato nelle file della coalizione guidata dal Professore. Ma alla fine la candidatura non è spuntata.

Presidente Pisanu, a trentanove anni dalla prima elezione alla Camera questa volta, nonostante le previsioni, non è candidato. Cosa è successo?

«Niente di strano. A un certo punto è sorto il problema della mia lunga permanenza in Parlamento e io l'ho risolto educatamente facendomi da parte».

Lei ha parlato di "rinnovamento di moda". Condivide il rinnovamento basato sull'anzianità di carica?

«Si rinnova per cambiare in meglio. E allora non basta considerare l'età, ma anche l'onestà, la competenza e la dedizione al bene comune. La pensavano così nell'antica Grecia e la pensano così in tutte le democrazie avanzate. Negli Stati Uniti l'anzianità parlamentare, la seniority, è un titolo di merito».

In Sardegna la campagna elettorale è stata aperta dalla visita di D'Alema per la presentazione del libro sulla sfida tra politica e antipolitica. Chi vincerà la sfida?

«Vincerà la politica, ma solo se risolverà la questione morale e se le forze liberaldemocratiche, laiche e cattoliche, si attesteranno su tre punti fondamentali: la Costituzione, l'Unione europea e l'economia sociale di mercato. Io scommetto su questa vittoria».

Lei si è schierato con Monti. Ha condiviso la scelta del Professore di salire in politica o avrebbe preferito che rimanesse fuori dalle parti?

«Monti ha fatto una scelta scomoda sul piano personale, ma utile al paese. Per questo lo apprezzo. E naturalmente condivido il suo progetto di unire i riformatori, uscendo dagli schemi tradizionali».

È definitivo il suo strappo dal Pdl?

«Sì è definitivo, perchè il Pdl ha rotto i ponti con la vocazione liberale di Forza Italia e ha preso una deriva populista, antieuropea e perfino anticostituzionale, secondo le peggiori inclinazioni della destra e della Lega Nord. L'Italia, invece, ha bisogno dell'esatto contrario per completare la risalita dalla crisi e mantenere il prestigio che Mario Monti le ha restituito sulla scena internazionale».

Berlusconi può davvero recuperare e vincere?

«Non credo. Ricupera a destra cannibalizzando i suoi alleati, mentre perde in casa deludendo gli elettori moderati».

Quale risultato potrà ottenere?

«Alla fine resterà sotto il venti per cento dei voti».

Chi vincerà?

«Salvo sorprese, vincerà il centro-sinistra, ma solo alla Camera. Il risultato elettorale, considerata anche l'imprevedibilità politica di taluni gruppi, sarà difficile da gestire».

Ci sarà ancora bisogno di un governo di tecnici?

«Lo escluderei. All'indomani del responso elettorale, un governo tecnico sarebbe privo di senso. Comunque vada, infatti, le elezioni esprimeranno una coalizione di maggioranza relativa e da quella si dovrà partire per la formazione del nuovo governo. Il resto dipenderà dal gioco delle forze parlamentari, ma la soluzione sarà politica».

La preoccupa il tono dello scontro elettorale tra Monti e Bersani?

«In una campagna elettorale così esagitata e imprevedibile, Monti e Bersani non hanno alcun interesse a gettare sabbia negli ingranaggi delle relazioni politiche. Debbono invece guardare al dopo, quando sarà necessario dialogare tra loro e in altre direzioni per dare un valido governo al paese».

Ma questo clima non rischia di compromettere l'ipotesi di un'alleanza post elettorale?

«Al di là delle apparenze, penso che entrambi siano già nell’ordine di idee del dialogo per dare un valido governo al paese».

Veniamo all'isola. La Vertenza Sardegna fatica con qualsiasi governo ad avere risposte a Roma. Perché?

«Perché i problemi sono grandi e complessi, la Sardegna è politicamente debole e le risorse disponibili, da Roma a Bruxelles, sono piuttosto scarse».

Quali i punti di forza e di debolezza dell'isola alla ricerca di un nuovo sviluppo?

«Servirebbe un'altra intervista per elencare gli uni e gli altri. Il problema principale è trasformare i punti di debolezza in punti di forza. L'insularità, per esempio, diventerebbe una straordinaria opportunità se la nostra Costituzione la riconoscesse come uno svantaggio naturale che lo Stato ha il dovere di colmare con adeguate misure fiscali e tariffarie. Io punterei sulle risorse naturali, sul turismo e soprattutto sul fattore umano dello sviluppo. Perciò, scuola e ricerca scientifica, istruzione professionale, lavoro, famiglia e impresa».

L'Autonomia per come l'abbiamo conosciuta, è ancora utile?

«Certo che lo è, ma deve rinnovarsi e adeguarsi ai tempi. E in particolare deve fare di più per raccogliere le migliori energie dell'isola e condurle tutte insieme all'attacco dei grandi problemi, da Cagliari a Roma a Bruxelles».

Lei è stato inizialmente critico con Cappellacci, poi c'è stato un avvicinamento. Cosa pensa oggi del governo della Regione?

«Penso che così come è non possa andare avanti. Mi lasci aggiungere che mi sono riavvicinato al Presidente della Regione soprattutto perché ho sentito il dovere di sostenerlo nei suoi rapporti con i poteri centrali; cosa, del resto, che ho sempre fatto con gli amministratori sardi, senza mai badare al colore politico, come molti possono testimoniare».

Il centrodestra in Sardegna si presenta diviso in tre parti: il Pdl con le forze di destra, i centristi con Monti, il Psd'Az da solo. Può reggere così una giunta?

«Francamente, no. Tanto più che oggi occorrono decisioni largamente partecipate e capaci di coinvolgere i cittadini. Altrimenti le istituzioni regionali rischiano di essere travolte dall'irruenza della crisi e dalla collera popolare».

Sono probabili le elezioni anticipate alla Regione?

«Allo stato attuale delle cose servirebbero solo ad accentuare le divisioni. Dicono i matematici che il tentativo di porre ordine nel caos produce altro caos».

Che fare, allora?

«Sarebbe molto meglio chiamare alla riscossa tutte le forze disponibili. Già oggi il Consiglio Regionale potrebbe chiedere ai candidati alle politiche di prendere un impegno d'onore sulla vertenza Sardegna e di portarlo avanti, una volta eletti, con qualsiasi governo e in ogni buona occasione. E' l'ora dell'unità politica dei sardi a tutti i livelli».

I centristi che oggi sono con Monti, Udc e Riformatori, potrebbero presentarsi con il Pd alle elezioni regionali? E a quali condizioni?

«Bisogna discuterne. Certo è che non si può fronteggiare la crisi peggiore della storia autonomistica con formule di ordinaria amministrazione».

Che soluzione vede ?

«O i partiti sardi entrano nella logica di questa drammatica emergenza e cercano risposte adeguate, o escono dalla realtà e precipitano nel discredito generale».

Torniamo a lei. Continuerà a fare politica anche senza seggio parlamentare?

«Senta, la politica è, allo stesso tempo, professione intellettuale e passione civile, non sistemazione in poltrona. Io mi tengo queste due virtù e, per modeste che siano, continuerò ad esercitarle in ogni possibile modo».

Per concludere. Lei ha iniziato come il più giovane dei giovani turchi. Ora lascia da decano e ha detto: è nelle cose. Dica con sincerità, ha sofferto per la mancata candidatura?

«Sinceramente no, proprio perché mi sento in armonia con l'ordine naturale delle cose».

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