La Nuova Sardegna

De Rita del Censis: «Ma a salvarci sarà la solidarietà»

di Umberto Aime
De Rita del Censis: «Ma a salvarci sarà la solidarietà»

L’intervento alla convention a Pula sullo stato del Paese «Insieme possiamo uscire dalla crisi, ma non sarà subito»

01 giugno 2013
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INVIATO A PULA. Dalla crisi, la peggiore dal dopoguerra a oggi, si salta fuori con il noi, che sta per «tutti insieme«, senza altra macelleria sociale, senza spaccare le comunità, senza la barbarie della giungla del più forte (o più ricco) che divora il più debole (o più povero). Nell’epoca del Papa francescano, il messaggio, stavolta laico, non poteva che essere questo: dall’affondamento del Titanic possiamo salvarci solo «se sapremo stringerci nell’unica scialuppa, quella della solidarietà». Tutto il resto va scacciato e messo da parte: «Perché è finito il tempo della forza e dell’arroganza dell’io, che è stata esplosiva per cinquant’anni», ha detto il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, dal palco dell’Inkontro. È l’annuale appuntamento di maggio organizzato dalla Nielsen, l’azienda che da sempre tasta polso e fiducia ai consumatori, alle imprese e dunque «al mondo Italia». Che è in ginocchio, travolta dalla recessione, e persino impaurita. Lo è ancora di più la Sardegna del 2013, affossata da numeri infernali: 16,4 per cento di disoccupazione, cinque punti in più della media nazionale, tasso d’inattività oltre il 40 per cento, giovani disperati e un esercito, sono 146 mila, in cassa integrazione. De Rita ha detto che il dramma, globale, nazionale e locale, deve essere esorcizzato, ma «il passaggio verso la necessaria identità del noi, non è facile, perché quei processi che servirebbero sono ancora animati dall’ego e dall’individualismo». Quella del presidente del Censis non è stata comunque una condanna: «Dobbiamo trovare dentro di noi e fra noi la forza di resistere, o meglio affidarci, senza esagerare, alla restanza». È un neologismo e significa che quando si è in crisi e tutto sembra venir meno, è «quasi automatico far conto su quello che ci resta». Scatta, la restanza, quando un Paese è deluso, inappagato dalla mancanza di futuro e incapace di investire sul cambiamento, allora si aggrappa a quello che ha funzionato in passato. Dunque, anche alle tradizioni che possono apparire spesso una prigione, ma in questi anni difficili possono avere un potere salvifico. Soprattutto in Sardegna, terra dove il nucleo famiglia è ancora un salvagente sicuro nel mare in tempesta. Sui tempi del passaggio dall’io al noi, De Rita è stato chiaro: «Non sarà subito. Probabilmente dovremo aspettare la prossima generazione. Oggi l’anello ancora mancante è quello dell’uscita dall’ego col successivo riconoscimento dell’altro, per costruire infine una vera e proprio cultura delle stare insieme, basata sulla comprensione e la solidarietà reciproca». Bisognerà stringere i denti, perché «stavolta rischiamo davvero di romperci le ossa e restare ingessati per almeno un’intera e lunga stagione», ha scritto il Censis nell’ultimo rapporto sullo stato dell’Italia. Concetto ripreso da Vincenzo Perrone, docente di marketing alla Bocconi di Milano: «Davanti alla violenza della crisi, una parte cospicua della popolazione ora vede messi a rischio sia la soddisfazione dei bisogni primari che la sua stessa sicurezza». In questa condizione estrema, ha aggiunto, «è forte la tentazione che ciascun individuo lotti da solo, in solitudine, per la sopravvivenza e cerchi di sopraffare gli altri». Il rischio è reale, quotidiano, e sempre più tambureggiante, con internet che «in presa diretta ti sbatte in faccia ogni brutalità». A questo punto del cammino, la salita è ripida, Perrone ha detto: «Il primo impegno della società deve essere quello di impegnarsi a correggere queste distorsioni figlie della disuguaglianza. Ma spesso non basta – ha proseguito – l’interesse comune a sostenerci uno con l’altro. Servono luoghi intermedi di aggregazione e integrazione dove impariamo a stare assieme e dove sarà più facile sviluppare la nuova dimensione sociale del gruppo». Sarà il gruppo a salvarci dalla crisi, non certo gli illusionisti egocentrici e arroganti.

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