La Nuova Sardegna

«Alla nostra età torniamo a scuola»

«Alla nostra età torniamo a scuola»

In aula, chini sui libri, sperando che la riqualificazione offra nuove opportunità

05 luglio 2013
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PORTO TORRES. C’è chi si è inventato l’orto familiare per risparmiare, chi si arrangia con qualche giornata (e purtroppo offre un contributo al lavoro nero), chi fa il casalingo (va a fare la spesa, accompagna i figli a scuola, cucina) e chi ha rinunciato a sposarsi «per non rischiare».

Se guardi nello scenario dei disoccupati di ritorno, di questi quasi anziani ma ancora troppo giovani per la pensione, scopri storie di vita che anche chi propone e vota le leggi sul welfare dovrebbe conoscere. In fondo si impara così a governare un Paese.

Gli esempi sono tanti, tutti carichi di una grande dignità, pagine private custodite nell’intimità delle famiglie. Non certo per vergogna, solo per riservatezza.

Da quando sono scattati gli ammortizzatori sociali, i lavoratori delle fabbriche frequentano periodicamente dei corsi di formazione, cercano di battere la strada della riqualificazione. Puntano su settori che possono dare qualche speranza in più: ambiente, turismo, riciclo dei rifiuti. I corsi hanno durate che variano tra le 200 e le 600 ore. Così a cinquant’anni gli operai tornano sui banchi a studiare. «La testa non è più la stessa – racconta Gigi Nieddu – anche perchè per fare queste cose hai bisogno della mente libera. Invece un padre di famiglia che per mesi non riceve l’indennità, che deve fare i conti con le questioni concrete di tutti i giorni, ha altro da pensare. Però si impegna, si cimenta in lezioni di inglese, informatica e pronto soccorso. Anche se fa una fatica enorme, prova a rilanciarsi nel mondo del lavoro». I risultati, purtroppo, sono rari, diversi quelli che si fermano a metà strada. Tanti i delusi tra coloro che, comunque, concludono il ciclo di lezioni. Perchè torni al punto di partenza, il mercato del lavoro ha le porte sbarrate da troppo tempo. E nel nord Sardegna, dove ancora non è stato elaborato un modello di sviluppo che sia alternativo alla grande industria, le cose vanno ancora peggio.

E si torna sempre lì, alla centralità del lavoro. Servirebbe un fronte unito, invece le emergenze sono polverizzate in mille vertenze: perdono tutte, dalle più famose a quelle appena conosciute. Cassintegrati e lavoratori in mobilità chiedono di essere inseriti in lavori di pubblica utilità, con una integrazione al reddito: «Per non stare a casa ad aspettare il sussidio e rendersi utili alla comunità». (g.b.)

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