La Nuova Sardegna

Otto imputati per i morti di Capoterra

Otto imputati per i morti di Capoterra

Si è aperto proprio il giorno dopo il ciclone il processo per la sciagura del 2008 con quattro vittime

20 novembre 2013
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CAGLIARI. C’erano centinaia di case costruite a due passi dal rio San Girolamo, vicino a Capoterra. Così quando la diga di Poggio dei Pini ha ceduto, l’onda di piena ha seguito l’alveo del fiume e si è rovesciata su quel villaggio messo in piedi in barba alle più elementari norme di sicurezza, travolgendo quanto c’era da travolgere. Molte famiglie persero tutto quello che avevano. Era il 22 ottobre del 2008, quella volta i morti sono stati quattro e ieri, per un inquietante coincidenza, si è aperto il processo pubblico in tribunale ai cinque presunti responsabili di quella sciagura, che alla luce di quanto sta accadendo in queste ore sembra non abbia insegnato nulla. Quella di ieri è stata l’udienza del racconto: in un’aula affollata di avvocati e familiari delle vittime - le parti offese sono 160 - il commissario Fabrizio Madeddu del nucleo investigativo del Corpo Forestale si è servito di immagini proiettate su uno schermo per mostrare al presidente Claudio Gatti e ai giudici Ermengarda Ferrarese e Antonio Onni i luoghi dell’alluvione, l’origine della piena, le strade e il ponte distrutti, le case coperte di fango. L’indagine condotta da Madeddu e dall’ispettore Carlo Pisano - i pm sono Daniele Caria e Guido Pani - è stata profonda fino ai dettagli e le conclusioni sembrano confermare che il disastro poteva essere almeno contenuto, malgrado la forza della natura. L’epicentro di quel giorno indimenticabile è stata la diga di Poggio dei Pini: secondo Madeddu era priva dei più elementari accorgimenti di sicurezza e negli anni, una volta abbandonata dai proprietari originari, è stata trascurata qualsiasi manutenzione. Le prescrizioni c’erano, ma sono state ignorate. Non solo: i tratti dello sbarramento che dovevano servire a svuotare l’invaso erano stati cementati. Pensata per contenere 22 mila metri cubi d’acqua, la diga non resse a una bomba d’acqua di quella portata. Così come il ponte di Pauli Ara, che si sbriciolò miseramente proprio mentre l’attraversava un’auto con due persone a bordo, finita quattrocento metri lontano: «Quella struttura, già ricostruita nel 1999 - ha detto il commissario - doveva essere demolita perché pericolosa. Comunque non c’era l’autorizzazione del Genio civile». Le immagini sono state eloquenti: una lunga, enorme scia di fango e detriti, case distrutte giù fino alla foce del San Girolamo, dove impresari pazzi hanno costruito Frutti d’Oro 2. E’ appena il caso di ricordare che pochi mesi dopo la sciagura, il comune di Capoterra tentò di autorizzare altri cantieri lungo il fiume. Rinunciò davanti alle proteste degli ecologisti e alla minaccia di azioni giudiziarie.

Otto gli imputati, i reati vanno dall'omicidio colposo all'inondazione colposa, contestati ai tecnici del Genio civile, della Protezione Civile e dell'Anas, oltre che all'ex sindaco di Capoterra, Giorgio Marongiu. Sono imputati i capi compartimento Anas della Sardegna Bruno Brunelletti e Giorgio Carboni, il presidente della cooperativa Poggio dei Pini Giovanni Calvisi, i funzionari della Protezione civile Sergio Carrus, e i dirigenti del Genio, Virgilio Sergio Cocciu, Gian Battista Novella e Antonio Deplano. Nell'alluvione persero la vita Antonello Porcu e Licia Zucca, travolti dalla piena mentre transitavano in auto a valle del Lago grande, Anna Rita Lepori, trascinata in auto dall'onda lunga del rio San Girolamo e Speranza Sollai, sommersa dall'acqua nel seminterrato della sua abitazione. Il dibattimento andrà avanti il 3 dicembre con l’esame dell’ispettore Carlo Pisano. (m.l)

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