La Nuova Sardegna

«La stagione in cui cambiammo tutto»

di Fabio Canessa
«La stagione in cui cambiammo tutto»

Nel ricordo dell’artista sardo Igort, famoso in tutto il mondo, gli anni Ottanta celebrati nella mostra “Valvoline Story”

21 marzo 2014
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Doveva durare solo il mese di marzo, ma l'interesse che ha suscitato e il numero di visitatori ha già costretto gli organizzatori a prorogarla per quasi tutto aprile. Maggior tempo a disposizione e possibilità anche per chi non è di Bologna di pensare a una visita nella capitale del fumetto d'autore dove è stata allestita la mostra “Valvoline Story”. Una grande esposizione alla Fondazione del Monte, curata dalla casa editrice Coconino Press, che documenta e celebra in occasione del trentennale il lavoro del gruppo Valvoline. Tantissime tavole originali, disegni inediti, dipinti, foto, documenti audio e video, di quegli autori che all'inizio degli anni Ottanta segnarono una svolta nel fumetto non solo italiano: Daniele Brolli, Giorgio Carpinteri, Marcello Jori, Jerry Kramsky, Lorenzo Mattotti e Igort. «È stata la ricorrenza, il trentennale, a risvegliare l’attenzione mia e degli altri componenti di Valvoline sul nostro lavoro. L’occasione per fare il punto e per rivedere i lavori che tanta fortuna ebbero all’epoca» racconta il disegnatore cagliaritano, all'anagrafe Igor Tuveri, che lasciata da ragazzo l'isola sul finire degli anni Settanta, per andare a Bologna, fu uno dei grandi animatori di quella stagione irripetibile. «L’isola era un isola a tutti gli effetti, allora. Voglio dire, non c’era internet, i voli low cost e le possibilità di collegamento che abbiamo oggi. Partire fu una scelta dura, ma necessaria. Dovevo provare a costruire il mio mondo. Poi le cose ti rimangono dentro. Le radici non sono statiche, viaggiano con te. E la Sardegna ritornò sulle mie pagine disegnate, prese il nome di Parador, l’isola immaginaria nei mari del sud che era la trasposizione di molti dei miei ricordi. Si viaggia in molti modi, anche nel tempo, anche nella memoria. Questo ho imparato lasciando la mia amata isola».

A Bologna, con gli altri autori già citati, Igort diede vita a qualcosa di straordinario. «Eravamo un gruppo molto unito che credeva nelle potenzialità del linguaggio del fumetto. Secondo noi era possibile portare nel racconto disegnato arte, design, architettura, cinema, letteratura. Visto da oggi può apparire strano, ma all’epoca era una cosa quasi iconoclasta. Di rottura in un certo senso. Era un’altra stagione, anche di grande apertura e di grande risposta da parte dei lettori. Però a essere onesti, c’era anche chi ci odiava, lettori assai tradizionalisti che non volevano mettere in discussione una visione consolidata del fumetto. Arrivarono molte lettere piene di insulti. Cosa che mi divertì molto. E d’altra parte, invece, poi fummo chiamati a disegnare di tutto, dalla moda, alle scenografie per il teatro. Valvoline divenne anche musica e design. Tutto». Mezzo principale dove esprimersi fu per Igort e i suoi compagni d'avventura la rivista “Alter Alter”: «Era il sogno, la rivista che leggevo e che mi aveva insegnato a immaginare mondi possibili». Nel ricordare l'opera del gruppo di fumettisti, la mostra sottolinea il contesto culturale degli anni in cui quest'esperienza maturò e i legami con le altri arti. In particolare con la nuova musica che si sviluppava in quel periodo: «Si viaggiava con la musica – sottolinea Igort – . Io disegnavo tutto il tempo, ma suonavo anche. Mio padre era compositore, si respirava in casa quell’aria di “tutto è possibile”. Quando lasciai Cagliari per Bologna la casa da studenti in cui vivevo era piena di dischi, musiche, e strumenti. Ascoltavo Eno, i Talking Heads, i Devo, gli Ultravox, i Pere Ubu. Tutta una serie di musicisti che mettevano in discussione quanto ascoltato fino ad allora». Musica che arrivava da fuori, ma non solo. In quel periodo Franco Battiato seguiva una strada molto particolare. Anche nella prefazione a “Sinfonia a Bombay”, opera ristampata per il trentennale di Valvoline, Igort ricorda il cantautore siciliano: «Battiato era uno dei pochissimi italiani che pareva percorrere sentieri di rinnovamento, univa cose molto diverse tra di loro che improvvisamente parevano nate per stare insieme. Quello si chiama genio. Si viaggiava nel tempo e nello spazio, soprattutto apriva le porte verso coordinate che nessuno conosceva davvero. Ma era ovvio, anche lui, nato in un'isola aveva idea di cose fosse “fare tesoro” delle esperienze. La musica, la lingua, la cultura araba, quella greca, che avevano bagnato le radici della sua Sicilia, furono la base della sua evoluzione».

Il percorso di Igort, di vita e professionale, ha portato il disegnatore a viaggiare molto. Dalla Sardegna a Bologna e poi in tante parti del mondo. Dalla lunga esperienza in Giappone negli anni Novanta: «quando arrivai là fu facile sentirsi a casa. Piccoli, cocciuti, circondati dal mare. Davvero, fu come tornare a casa» a quella più recente nell'Europa orientale, base per i reportage disegnati “Quaderni ucraini” e “Quaderni russi”. E, ancora, dalla Francia all'America. Senza dimenticare da dove era partito. «Spiegelman mi ha raccontato come suo padre gli abbia insegnato a fare la valigia, portando lo stretto indispensabile, per non dimenticare chi sei. Ecco, io che ho lasciato tutto, che ho voluto con tutte le mie forze che mia figlia nascesse nell’isola e non a Parigi o a New York, dove stava per nascere, lo capisco cosa significhi quel senso di vertigine di “scegliere lo stretto indispensabile”. È una cosa che ti rimane dentro».

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