La Nuova Sardegna

Torture da parte di militari italiani a Nassiriya? Al via due inchieste

di Pier Giorgio Pinna
Torture da parte di militari italiani a Nassiriya? Al via due inchieste

Nella nuova puntata delle Iene testimonianze-choc di un sassarino e un video con due prigionieri bendati e coi polsi legati

10 aprile 2014
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SASSARI. Due inchieste al via. Sulla denuncia in tv di torture da parte di uomini del Sismi e delle forze armate italiane su detenuti iracheni stanno per partire le indagini della Procura di Roma e della magistratura militare. Le dichiarazioni fatte nella trasmissione Le Iene da un ex caporale della "Sassari" e da altri soldati presentati come effettivi nella Brigata si configurano come "notizie di reato". Quindi perseguibili sul territorio nazionale nonostante si riferiscano a Nassiriya, nell’autunno-inverno della strage.

Le prassi. Per il momento i fascicoli dovrebbe essere intestati con la dicitura "Atti relativi a…". In questa fase, una procedura standard. Che però, con l'acquisizione dei documenti sulla nuova trasmissione in onda ieri sera su Italia 1, potrebbe subire un'accelerazione.

Programma-rivelazione. E questo perché nella puntata, curata sempre da Luigi Pelazza, Le Iene hanno presentato altre testimonianze. La prima è un'intervista, che sembra registrata senza il consenso dell’interlocutore. un anonimo vestito con una t-shirt nera e pantaloni verde scuro, indicato come «soldato della "Sassari” stretto collaboratore di un generale a Nassiriya». Il suo volto non compare. Seduto su un divano, accento sardo, conferma la pratica di torture a Nassiriya da parte dei “servizi” italiani. Sullo sfondo, voci di bambini. La seconda "prova" è un video: s'intravede un uomo in divisa con lo scudetto tricolore vicino a due prigionieri a terra, le mani legate con fascette da elettricista, gli occhi bendati.

Altri particolari. Pelazza mostra il filmato asserendo di averlo ricevuto da un militare. Il quale, sostiene, l’avrebbe girato nella tenda di un accampamento gestito da italiani a Nassiriya. In precedenza il soldato della Brigata aveva spiegato che gli americani lanciarono l’allarme qualche giorno prima dell’attentato. Ritornando sulle torture, ha poi aggiunto che i detenuti venivano tenuti “come polli”: «Li facevano entrare prima in un box e se non parlavano li massacravano di botte, poi in un altro dove il pestaggio si ripeteva via».

Vie d’investigazione. La ricerca di riscontri si svolgerà dunque lungo differenti canali d'indagine. Uno interessa la credibilità dei racconti e l'affidabilità di chi rivela a distanza di oltre 10 anni dettagli sconvolgenti. In particolare, sarà ascoltato l’unico ex caporale che parla con nome e cognome, Leonardo Bitti, 40 anni, sassarese con origini a Mara. Ora fa l’avvocato, ma per oltre 20 anni è stato nella Brigata. Il secondo filone riguarda, il merito della questione: e cioè se esistesse a meno di un chilometro dalla White Horse - sede del comando italiano a Nassiriya - una casa di colore bianco, vasta un centinaio di metri quadrati, dove prigionieri iracheni venivano seviziati da italiani appartenenti a corpi diversi dalla Brigata.

Esatte identità. Con ogni probabilità altri passi saranno quelli d'individuare le altre persone che hanno rilasciato dichiarazioni alle Iene, riascoltare lo stesso Pelazza (già sentito per un precedente collegato al caso) e valutare poi il materiale e tutti gli altri indizi raccolti.

Rischi e responsabilità. «Certo è che i soldati che adesso fanno queste rivelazioni sarebbero stati tenuti, secondo quanto prevedono le norme militari, a mettersi a rapporto dai loro comandanti già all'epoca dei fatti e a riferire gli elementi in loro possesso nel momento in cui temevano violazioni di legge», tengono a puntualizzare in proposito alcuni specialisti in procedure che rientrano nei codici penali di pace e di guerra.

La Difesa. Anche in attesa che venga data una risposta all'interrogativo su come mai queste testimonianze diventino pubbliche solo oggi, per ora sui fatti resi noti dalle Iene è arrivata a livello ufficiale una raffica di "no comment". Nessuna dichiarazione, quindi, dall'ufficio stampa del ministero, dallo Stato Maggiore e dal ministro Roberta Pinotti.

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